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ALBERTO RIGONI Overloaded autoprod. 2014 ITA

Se c’è uno strumentista italiano attivo su più fronti al pari del chitarrista/tastierista Daniele Liverani – se non addirittura di più –, quello è senza alcun dubbio il bassista Alberto Rigoni. Un accostamento non casuale, in quanto i due suonano (guarda le coincidenze) nella prog-metal band tricolore TwinSpirits. Il sodalizio con l’ex-Empty Tremor non ha poi impedito al musicista trevigiano di cimentarsi, dal 2000 ad oggi, in esperienze completamente diverse tra loro come il progetto electro-pop Lady & the BASS assieme alla cantante Irene Ermolli, l’operazione di co-produzione del Vivaldi Metal Project col tastierista Mistheria o la collaborazione con l’altra cantante Kim Bingham (per non parlare di Alexia…). E nel frattempo, spazio anche alla carriera solista, che con “Overloaded” approda al quarto album. Non è certo casuale aver cominciato la propria carriera negli Ascra, cover band dei Dream Theater; difatti, sul precedente “Three wise monkeys” (2012), tra i vari ospiti c’era anche Kevin Moore, primo storico tastierista del “Teatro del Sogno”, oltre alla presenza di personaggi degli ambienti classicamente heavy e power, come Goran Edman (Yngwie Malmsteen, John Norum) e Mark Cross (ex batterista di Helloween, FireWind, ecc…).
Tralasciando poi altre collaborazioni con musicisti molto differenti tra loro tipo Michael Manring e John Macaluso, Rigoni dedica oggi la sua ultima fatica a Randy Coven – virtuoso bassista metal che con varie compagini (fortissima l’amicizia con Steve Vai) ha messo in mostra tutta la sua tecnica incisiva –, deceduto proprio il 20 maggio 2014 a quasi 56 anni per cause non ancora rese note. E l’approccio risulta in effetti molto duro, con aperture dei brani in stile trash. Attacchi che potrebbero anche disturbare qualcuno, anche se poi le composizioni si sviluppano in maniera molto musicale, sfruttando soluzioni sia jazzate che neoclassiche. Il risultato alla fine è buono, grazie anche al buon supporto del tastierista Federico Solazzo e del batterista Denis Novello. Risulta a tal proposito ottima la title-track che comprende tutti gli elementi musicali fin qui enunciati, con fantasiosi interventi tastieristici esaltati dagli impegnativi passaggi di basso e partiture chitarristiche ad opera di Marco Sfogli che diventano sempre più vorticose, con lo spettro dei ‘Theater più “sognanti” che aleggia soprattutto nella parte finale. Altro momento da rimarcare è quello di “Liberation”, un rock strumentale energico e luccicante che con la chitarra di Fabrizio “Bicio” Leo potrebbe sembrare un pezzo quasi Satrianeggiante, imparentato alla lontana col prog-metal. Altro chitarrista presente è Simone Mularoni, su “Corruption” ed “Ubik”, dotato di una tecnica più da guitar-hero inteso in senso convenzionale del termine, conferendo ai brani citati una forma che ricorda alcune cose proprio del Liverani solista, anche se non si lascia andare alle medesime acrobazie sulle sei corde. L’ultimo pezzo citato, inoltre, ha una parte solista di tastiere che cita i Liquid Tension Experiment in maniera troppo evidente… per essere casuale.
“What’s on your mind”, “Chron” (lavoro ritmico non da poco), “Floating capsule” e “Liberation”, dal canto loro, mettono in mostra le capacità di un Rigoni impegnato a sfruttare tutte le possibili soluzioni sul proprio strumento, con approcci via via differenti, ora più aggressivo insieme agli altri strumenti e subito dopo lasciato quasi da solo e quindi più intimo. Curiosamente, il prezzo migliore in assoluto risulta probabilmente essere “Glory of life”, la bonus track posta in chiusura, in cui due differenti fasi di basso sovraincise dialogano meravigliosamente tra loro, in un’energica quiete che va ascoltata in silenzio per quasi quattro minuti, senza disturbare la meravigliosa interazione che si vorrebbe non sfumasse così velocemente.
Sicuramente bravo Alberto Rigoni e non occorrevano certo queste righe per puntualizzarlo. Di sicuro, buona parte dell’album sarà quasi ad esclusivo appannaggio dei metal heads che magari ascoltano anche alcune variazioni sul tema (in quanto anche con i “conservatori metallici” si possono avere dei rischi di indifferenza, anche se meno che con quelli di altri generi ritenuti più “nobili”). Probabilmente è un rischio calcolato, perché questa deve essere la dimensione che il musicista veneto al momento vuole ritagliare per la sua carriera solista. Ma è lecito comunque aspettarsi anche qualcosa di nuovo, in futuro



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Michele Merenda

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