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RUBBER TEA Infusion Sireena Records 2020 GER

La variopinta copertina di questo CD ci introduce nel migliore dei modi all’album d’esordio di questo giovane quintetto formatosi a Brema nel 2017. Quando lasciamo partire la musica, le nostre orecchie accolgono benevolmente un’elegante miscela di strumentazione e idee vintage che si coniugano senza remore ad elementi più moderni, riuscendo a catturare da subito la nostra attenzione.
Il quintetto è formato oggi da Vanessa Gross (voce, sax e Flauto), Lennart Hinz (voce, tastiere, chitarra 12 corde, Mellotron), David Erzmann (basso, sitar e autore dell’artwork), Jonas Roustai (chitarre) e Henri Pink (batteria) ma sul disco compaiono anche Maik Scheling (chitarra elettrica) nonché alcuni ospiti ai fiati, vibrafono e percussioni.
La musica, come detto, si presenta in modo elegante, piacevolmente e delicatamente jazzy, raramente sopra le righe, possiede un vago ma costante sapore Canterbury che tuttavia rimane sempre poco più di un accenno, un retrogusto persistente. Oltre a Camel e Caravan, reperire gli accostamenti più azzeccati per definire questa musica ci porta inevitabilmente a parlare di Genesis e Pink Floyd, ma anche di VDGG, in special modo quando sax e tastiere si aggregano per delle trascinanti progressioni strumentali.
Il brano d’avvio (“On Misty Mountains/Downstream”) è anche tra i migliori degli 8, secondo il sottoscritto, sicuramente quello in cui il lato più raffinato dei nostri musicanti di Brema prende il sopravvento e fornisce la sua prova migliore. Il cantato di Vanessa è piacevole, caldo, non invadente e talvolta viene affiancato da quello di Lennart; non si tratta di una voce d’oro ma la trovo sicuramente accettabile, considerato, appunto, che comunque il lato strumentale della band è predominante. Le prime tracce si muovono sugli stessi territori lussureggianti, scorrendo sinuose come un fiume in una foresta; solo gradualmente la musica si fa più movimentata e ruggente, fino alle avvincenti tracce conclusive. La delicata e graziosa ballad “Plastic Scream”, situata in posizione centrale, sembra quasi fungere da spartiacque tra le due parti dell’album. “Storm Glass”, la prima di queste tracce, si apre con l’inquietante uso del vocoder che fa quasi presagire un mutamento di atmosfera generale. Questo ovviamente non è così marcato ma è indubbio il maggior groove presente nelle ultime tre canzoni.
Gli appena 37 minuti dell’album sono intrisi di anni ’70, benché non fossilizzati su tali suoni ed atmosfere. I brani non sono particolarmente lunghi e, pur riuscendo sempre a svilupparsi compiutamente e non lasciandoci mai insoddisfatti, sarei curioso di ascoltare come si comporterebbe il gruppo su una distanza più elevata. Ad ogni modo l’album già così com’è è davvero delizioso e trasuda tangibilmente l’entusiasmo di questi ragazzi nella cui musica spero vivamente di imbattermi di nuovo.



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Alberto Nucci

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