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SYMPOZION Kundabuffer Thousand Records 2006 ISR

Il gruppo è all’esordio. Sono cinque giovani israeliani, insieme dal 2000. La produzione tecnica del lavoro, per un’etichetta indipendente, è assunta da Udi Koomran normalmente affidabile con band tipo Present e Ahvak.
Il disco ha un gran bell’impatto. Atmosfere raffinate, ben suonate. Però niente suoni vintage per tastiere e chitarre, un bellissimo flauto che contrappunta le melodie della chitarra e, nota dolente, una brutta batteria elettronica (direi Simmons o addirittura D-Drum). Pochissimo, solo due brani, il cantato, in lingua israeliana. Complessivamente 52 minuti suddivisi in 8 tracce, piuttosto omogenee per composizione ed impostazione sonora ma di durata variegata dai tre agli undici minuti. Molti i riferimenti, in primis parecchio Canterbury, National Health e Egg soprattutto, ma anche Ayers e Oldfield. Poi una buona dose di Henry Cow e altri riferimenti a RIO. Un po’ di Avantprog, un po’ di Artprog, un po’ di musica minimalista di provenienza contemporanea e un po’ di Stravinsky. A tratti anche Gentle Giant e Happy the Man. La cosa più divertente, come accade spesso, è che tutti i riferimenti sopra elencati non sono minimamente citati tra le preferenze dei componenti il gruppo. E’ bene, quindi, che il lettore non cada in inganno, perché in realtà la miscela che ne viene fuori è così ben amalgamata da risultare molto personale ed efficace.
Primo brano del lavoro è “Patterns” il brano più breve del CD, ma valido come sunto generale. Ben riuscito il lavoro di chitarra e flauto, bella anche la ritmica, ma quella batteria potevano risparmiarmela. Inizio National Health per il secondo brano “Happy War Holiday”, sviluppo ritmico deciso, movimenti e variazioni ne fanno uno dei migliori dell’intero CD. Più dolce ed equilibrato è il successivo Bird, dove il cantato si unisce ad un piano dal suono piuttosto suggestivo. Maggiormente complesse sia nella composizione, sia nello sviluppo sono “Grapefruit” e “Grapefruit Variation”, che assieme fanno quasi 20 minuti, dove oltre ai riferimenti citati, non si possono nascondere echi zappiani e di certo jazz di libera ispirazione. “Six”, quinto brano del lavoro, si distingue per lo spunto jazzato complessivo, una composizione particolarmente riuscita. Validi anche “Zona” l’altro brano cantato e “Too Much” che ben si inseriscono in una scaletta che ho trovato efficacemente congeniata.
Riassumendo l’unico vero passo falso del disco è la batteria elettronica, con quel suo suono antipatico. E’ pur vero che si inserisce meglio in questo lavoro, piuttosto che in altri, ne cito solo uno pensando al primo Citizen Cain.
Il giudizio finale non può che essere positivo. E il consiglio di acquisto elargito con il piacere della consapevolezza di aver trovato una manciata di ragazzi, poco più che ventenni, che hanno deciso di buttarsi - e coinvolgerci - in quella bella avventura che è il progressive.

 

Roberto Vanali

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