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SUSSITA Sussita autoprod. 2005 ISR

La copertina sembra quella di un vecchio vinile, le sonorità sembrano provenire da altri tempi, l'approccio alla musica è spontaneo e le tecniche di registrazione e produzione piuttosto casalinghe. Ah, se questa fosse stata effettivamente una ristampa sarebbe stata davvero una scoperta straordinaria! I Sussita non ridisegneranno sicuramente la storia del Prog, ma sta di fatto che, sebbene si tratti di un gruppo odierno (nato nel 2000 e attualmente al proprio esordio su CD), conservano il merito di aver recuperato un patrimonio musicale di assoluto valore, quello legato al folklore della propria terra, e di aver combinato le influenze musicali locali, risalenti agli anni '50 e '70, con il Progressive Rock, in uno stile piuttosto originale, che può essere definito "Rock Canaanita". I suoni sono caldi e rarefatti, come se venissero trasportati dal vento che solleva la sabbia del deserto, e l'idioma è quello locale, scelta questa che li differenzia da molti altri gruppi israeliani che hanno invece preferito avvicinarsi più a fondo ai modelli occidentali, decidendo di cantare in inglese. Il sapore di questa musica è delicatamente mediorientale, stemperato morbidamente da soluzioni che più classicamente si riagganciano alla musica Prog sinfonica. I suoni sono prevalentemente acustici, dominati da percussioni tradizionali, pianoforte, chitarra acustica ma soprattutto dal leggiadro flauto di Na'ama Shalev che disegna melodie sinuose e penetranti, intrecciandosi spesso alla voce solista di Meiron Egger. Le linee vocali sono semplici e spesso di stampo cantautoriale, comunque piacevoli con belle soluzioni melodiche. Spesso troviamo il piacevole apporto di parti corali fatte di voci maschili e femminili (ci sono diversi ospiti ad assolvere questo compito) e gli intrecci sono davvero idilliaci, come in "Debka", dal groove avvolgente e jazzato. Quando entrano in gioco gli strumenti elettrici la musica diventa particolarmente interessante, con vaghe contaminazioni soft-jazz, e suoni vintage di tastiere, come nella malinconica ed oscura "Lot", seducente e psichedelica, che ci fa quasi pensare a una specie di Landberk mediorientali, o come in "Adarim" in cui la commistione di stili dà vita a soluzioni particolari ed efficaci, con tanto di chitarra funky che si prodiga in un lungo assolo sul finale e intrecci vocali alla Gentle Giant, per intenderci. Si tratta di una proposta dal fascino decisamente esotico, che colpisce per la sua particolarità ma anche per la bellezza dei suoni. Forse le parti più prosaiche, dominate dal cantato con pochi strumenti di sostegno, possono un minimo far sbadigliare gli ascoltatori dagli animi meno sensibili verso sonorità delicate e leggere, ma nel suo complesso l'album merita di essere ascoltato e scoperto.

 

Jessica Attene

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