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PATRIK SKANTZE AND THE FREE SOULS SOCIETY Fiction at first view Mimo Sound/Record Heaven 2005 SVE

Devo essere sincero: la copertina dal sapore un po’ dilettantistico ed il nome adatto più ad una band beat o skiffle non invogliano granché all’ascolto di quest’album; per fortuna molti artwork del passato ci hanno insegnato a non fermarsi mai all’apparenza e non lasciarsi troppo suggestionare (basti pensare a “Starless and Bible Black” o “Godbluff”, tanto per citare due pietre miliari prive di appeal visuale: prove eclatanti che l’abito oltre al monaco non fa neanche il disco).
Si tratta della seconda fatica discografica dello svedese Patrik Skantze, qui coadiuvato dal batterista Christopher Korling, dalla cantante/flautista Eva Björkner e dal violoncellista Jörgen Palm (non una vera band nel senso classico, dunque) ed in passato autore di un album in veste di one-man band: “Music for my Ego’s Sake” del 1998, oldfieldiano fino al midollo e composto di due lunghe suite proprio come i primi, inarrivabili capolavori del prodigioso chitarrista di Reading.
Seguendo un po’ l’esempio dello stesso Mike Oldfield, Patrik per questa nuova prova decide di affiancare (con discreto successo) ai brani strumentali e più folkeggianti delle vere e proprie canzoni, affidate alla sua ottima voce con reminiscenze del giovane Neil Young.
Il risultato è un assortimento di affreschi elettroacustici mai sopra le righe ma abbastanza accattivanti da entrare facilmente in sintonia con l’ascoltatore , praticamente privo di cadute di stile e piuttosto eterogeneo (la nota allegata al promo racconta di pop-rock esistenzialista, musica cantautoriale e art-rock: c’è in effetti una spruzzata di tutto questo ed anche qualcosa in più…) con alcuni picchi veramente degni di nota.
Pur riconoscendo ad un brano come la title-track (non a caso proposta in apertura anche nella versione “radio edit”, ma ascoltatevi l’originale!) un buon potenziale commerciale, forse per via di una vaga affinità con band dall’impatto radiofonico come Travis e Keane e pur apprezzando il sapore acid-folk dell’orientaleggiante “Craving for knowledge”, è certamente nei frangenti strumentali che abbiamo modo di apprezzare l’espressione genuina ed originale della vena creativa di Patrik e la sua capacità di affiancare tradizione e modernità senza forzature.
Rientrano in questa categoria “A new morning”, che fonde lo spirito bucolico di “Hergest Ridge” con i momenti più riflessivi di “Thick as a Brick” dei Jethro Tull; ottima la prova alla chitarra del nostro Skantze, che riesce a riprodurre il timbro pulito e compresso dell’elettrica di Oldfield, la floydiana “Gleam of hope” e soprattutto la lunga “The plunge”: 10 minuti arricchiti dal tocco folk del flauto ed infarciti di così tanti temi e idee strumentali da poter essere sviluppata nella durata di un album intero… ok – stavolta “Crises” e “Taurus II” sono dietro l’angolo, ma personalmente non ho nulla da obiettare finché non si arriva al plagio e mi sento di applaudire incondizionatamente.
Avrete capito che il disco in questione, pur non possedendo la forza d’impatto che possa accomunarlo alle pietre miliari del prog scandinavo moderno, mi è piaciuto parecchio: lo consiglio a chi gradisce discrete divagazioni folk in un contesto progressive molto melodico e soprattutto a chi - come il sottoscritto – ha scoperto e coltivato i propri gusti musicali grazie al suono imperioso di alcune ben note campane tubolari.

 

Mauro Ranchicchio

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