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SANHEDRIN Ever after Fading/AltrOck 2011 ISR

Sanhedrin, e cioè il Sinedrio in ebraico, è, dopo il ben accolto album dei Ciccada, la seconda produzione della costola dell’etichetta AltrOck dedicata al Prog Sinfonico. Mantenere alta la qualità non è un’impresa da poco e sin da subito voglio dire che l’operazione è riuscita fin qui alla perfezione, pur sfruttando delle correnti musicali diverse da quelle seguite dai compagni di scuderia provenienti dalla Grecia. I Sanhedrin nascono infatti come gruppo cover dei Camel e anche nel proprio materiale originale questa influenza si percepisce perfettamente, proprio come la nostra pelle può avvertire il calore del sole che arroventa la sabbia del deserto. Ma c’è qualcosa di più, come ad esempio la presenza di Shem Tom Levi, artista abbastanza noto in Israele ma conosciuto in generale dal pubblico Prog per essere uno dei membri degli storici ed apprezzatissimi Sheshet. Il suo flauto in quest’occasione non disegna melodie riconducibili alla tradizione locale, come avveniva nel vecchio gruppo, ma si inserisce in un contesto decisamente più occidentale o, per meglio dire, inglese… anche se qualche vago riferimento alla vecchia band di provenienza qua e là mi sembra di intravederlo, come nella splendida e allegra “Sobriety”, con i suoi ritmi leggeri di danza… o forse si tratta soltanto di miraggi, ma poco importa: il risultato finale non cambia. Ciò che mi ha colpito già ad un primissimo ascolto sono state prima di tutto la fluidità, la morbidezza e la compattezza dei suoni, tanto più brillanti e confortevoli quanto più si ascoltano con un buon impianto stereo. Credo proprio che, a differenza di molti altri gruppi di ispirazione Cameliana, sia proprio la bellezza dei suoni, squisitamente vintage, a fare la differenza. E poi c’è tutta una preziosa ricchezza di particolari che si inseriscono in un contesto generale semplice ed elegante, come in un soffice tappeto orientale decorato da tanti arabeschi che si confondono con le calde tinte dello sfondo. Molto belle sono in questo senso le vivaci pennellate jazz e sinfoniche che ravvivano spartiti eleganti e distensivi. Fra le tante particolarità presenti in questo album mi piace ricordare “Dark Age” che parte come riproposizione di una antica e notissima melodia medievale, in cui strumenti classici e belle tastiere vintage si mescolano in un insieme da “Mille e una notte”, che si sviluppa in una rilettura personale del brano originale ricca di neoclassicismi e volute sinfoniche. Atmosfere alla “Starless” e Floydiane (o meglio, che ricordano molto i Camel di “Nude”), le possiamo apprezzare nella seconda traccia, “Il Tredici”, con la chitarra limpida che scivola su una coltre densa di tastiere e il flauto che giunge a rasserenare le atmosfere come fanno le stelle che occhieggiano lontane nel profondo buio della notte. In “The Guillotine” troviamo delle suggestive melodie intessute dall’organo che creano, assieme al flauto, un paesaggio sonoro unico, suggestivo e distensivo che si apre successivamente a morbidi intarsi fra Jazz e prog sinfonico. Ma ogni canzone è il bellissimo capitolo di un libro tutto da scoprire che racchiude sogni ed emozioni e decisamente, che siate amanti o no dei Camel, vi invito all’ascolto di questo album, retrò, è vero, ma realizzato in maniera così splendida e con così tanto gusto che è impossibile non subirne in qualche modo il fascino. Provate per credere.


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Jessica Attene

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