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STAR FK RADIUM Blue Siberia Star Fk Holding 2010 FRA

“Blue Siberia” è il primo disco dei Star Fk Radium, gruppo statunitense composto da Alissa Taylor (violino), Bill Martien (chitarra acustica) e Matt Clarke (batteria). La loro musica è completamente acustica e fonde musica classica (Albinoni e Vivaldi su tutti), folk e colonne sonore di film melanconici, sfiorando solo marginalmente il rock.
”Blue Siberia” è un album genuino, che rievoca paesaggi agresti, anche che poco hanno a che fare con scenari siberiani. Il disco fa della semplicità e dell’essenzialità il suo punto di forza: i temi proseguono quasi sempre in maniera estremamente lineare, alle volte anche troppo. I tre musicisti raramente riescono a riempire il sound, lasciando spesso una sensazione di incompletezza.
I brani, pur piacevoli, sembrano voler evocare un qualcosa, forse la scena di un film che non c’è e, con difficoltà, riescono a vivere di vita propria. Spesso danno la sensazione di stare per esplodere, ma non lo fanno mai, lasciandoti con l’amaro in bocca.
È principalmente il violino della Taylor a sviluppare il tema melodico dei brani. Anche se molto accademico, riesce a raggiungere vette di estremo lirismo, come in “Life in slow motion” e “Blue Siberia”. Questi sono probabilmente tra i pezzi più riusciti dell’album. La chitarra acustica di Martien è preposta invece a stendere i tappeti su cui evolvono le linee melodiche del violino. Spesso arpeggiata, dà però il meglio di se quando libera tutta la sua energia nei momenti più folk, in particolare nel brano “Speedbike”, dove ricorda il Jimmy Page acustico di Led Zeppelin III. La batteria di Clarke è alle volte un po’ troppo sopra le righe, stridendo un po’ con la proposta musicale della band che preferirebbe un drumming più discreto.
Oltre ai brani già citati, sono da rimarcare positivamente altre due pezzi: il primo dei due è “Training Wheels” che è uno dei pezzi più variegati dell’album, seppure con un mood complessivo molto campestre. La prima parta è abbastanza impostata, ma estremamente gradevole, che varia tra l’Adagio di Albinoni e le Quattro stagioni, Seguono poi due parti centrali, una più rock, evento raro nell’album, ed un’altra molto intensa e riuscita, per concludersi poi in un bellissimo finale che sembra uscito fuori da un film di Fellini. Altrettanto interessante è “Karmara”, forse il pezzo più siberiano dell’album: è un brano scarno e minimalista, un violino glaciale, esempio di come essenzialità non faccia rima con banalità.
Il disco al primo assaggio passa quasi inosservato ma, ascolto dopo ascolto, cresce, lasciandosi seguire con estremo piacere. In alcuni punti riesce ad essere emozionante e accattivante, in altri un po’ meno, ma mai fastidioso. Il classico disco da ascoltare sovrappensiero, anche in compagnia di altre persone non amanti del prog, senza che quest’ultime dopo un paio di secondi di ascolto, inorriditi, si lascino andare ad espressioni del tipo "… ma che è ’sta roba?"


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Francesco Inglima

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