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SOLSTICE COIL Natural causes Melodic Revolution Records 2011 ISR

Sono passati sei anni dal precedente “A prescription for paper cuts” ed il tanto sperato passo in avanti ha avuto felicemente luogo. Già allora, infatti, i Solstice Coil avevano mostrato degli elementi che se sviluppati a dovere avrebbero potuto far sfornare un buon prodotto discografico. Oggi, il loro sound è rimasto sempre molto tosto e compatto, non dimenticando affatto le tendenze alternative rock. Adesso gli israeliani propongono un prog ancora più duro, con dei cambi di tempo sempre più repentini. Probabilmente il miglioramento è da individuare anche nel rinnovamento della sezione ritmica, Yaniv Shalev (basso) e Yatziv Caspi (batteria), nonostante i loro predecessori non fossero certo i primi arrivati. Ma a parte questo, è proprio il songwriting ad essere maturato; elemento importantissimo, visto che i nostri non indugiano più di tanto sui virtuosismi dei singoli ma applicano delle ritmiche complesse a quello che è un vero e proprio formato “canzone”.
Così, già dall’iniziale “Question Irrelevant”, dove si sentono dei concitati rumori d’ufficio, Shir Deutch, cantante, seconda chitarra e mente del gruppo, mostra di essere nettamente cresciuto nel modo di comporre i brani e poi interpretarli tramite la propria voce, non indugiando in continuazione con i falsetti come accadeva in passato. La sensazione sarebbe di ascoltare una sorta di prog metal band, anche se tutto sommato, col passare dei minuti, sembra che ci sia qualcosa di anomalo in tale definizione. Infatti, secondo gli stessi musicisti, la loro musica sarebbe un incrocio tra i Dream Theater ed i Radiohead. Qualche maligno potrebbe dire che questo sarebbe un ottimo motivo per non considerarli prog. Altri, leggermente più riflessivi, obietterebbero loro che spesso la sintesi finale è qualcosa che va oltre la semplice somma delle parti.
Paragoni o no, i Solstice Coil mostrano tutta la loro vena progressiva in un brano di elevata caratura come “Fall Schedules”, evidenziando ancor di più la vocazione malinconica nella seguente “I Know”, proseguendo con le melodie di “Human Again” (torna il falsetto…) innestate sempre su accordi molto corposi. Melodia che si frappone alla durezza in “Walking Graveyards”, mentre in “Too Many Regrets”, brano davvero potente, non sarebbe azzardato tirare in ballo gli Opeth più progressivi. Davvero uno dei momenti migliori dell’album, quest’ultimo, così come la dolce “Replacing People”, dove il cantato impeccabile di Deutch viene trasportato dal pianoforte di Shai Yallin, dagli ospiti che suonano i quattro strumenti ad archetto e dai bei “commenti” solistici della chitarra di Opher Vishnia.
Bel cantato e bel supporto strumentale anche in “Designed Instinct” (ottimo Yallin), mentre “Recipe For Eternity” è il degno finale con un organo che, dopo aver “serpeggiato” per tutto l’album, viene finalmente fuori dalla tana e si fa sentire assieme agli assoli di chitarra che chiudono in bellezza, lasciando la parola conclusiva a viola, violini e violoncello. Una citazione anche per “Singalong Deathrap” e “Moral Oxidation”, dove il tastierista ed il chitarrista si mettono ancora in evidenza.
Forse dodici brani per oltre settanta minuti di musica in questo contesto sono un po’ troppi, ma nessuno obbliga ad ascoltare un cd per forza tutto in una volta. Rimane sempre una costante: i Solstice Coil non sono affatto un gruppo imprescindibile, ma comunque, soprattutto stavolta, hanno qualcosa di interessante da dire e da fare ascoltare. Occorre notare, infine, la bella copertina: una stazione con un albero al centro, probabilmente quello della Vita, dove la gente e tutto ciò che vi orbita attorno, nel Bene e nel Male, entra per partire ed andare chissà dove. Un viaggio che avrà mai un ritorno?


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Michele Merenda

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