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JUDGE SMITH Orfeas Master of Art 2011 UK

Forse non tutti sanno che… i mitici Van Der Graaf Generator non furono fondati dal solo Peter Hammil. Assieme a lui ci fu il batterista e cantante Chris Judge Smith. Tuttavia con l’ingresso di Guy Evans il ruolo di Judge all’interno della band fu limitato alle parti vocali. Fatto sta che, dopo la registrazione del primo singolo "People You Were Going To", Smith decide di lasciare.
Tralasciando una breve e sfortunata avventura con il gruppo Heebalob (assieme a David Jackson), discograficamente parlando, di lui si perderanno le tracce per più di venti anni. In questo periodo è coinvolto principalmente in musica per teatro, per la televisione e in qualche collaborazione con altri artisti tra cui ovviamente anche Peter Hammill (ha scritto il libretto per “The Fall of the House of Usher”). Per il suo album d’esordio bisogna aspettare addirittura il 1991. Da allora, seppur con ritmi abbastanza lenti ha iniziato le sue produzioni si sono susseguite con una certa continuità.
Orfeas è il suo quinto album da solista e per la seconda volta dopo “Curly’s Airships” del 2000 si cimenta in un’opera rock. Decide di riproporre in chiave moderno la leggenda di Orfeo, il più grande musicista dell’antichità, che ha viaggiato nel mondo dei morti per trovare la sua Euridice. Ai tempi nostri Orfeo è un chitarrista senza rivali con il grande dilemma di accontentare il grande pubblico e di non tradire la sua musa ispiratrice Euridice. Un dilemma che ci porta alla memoria quello di Pink in “The Wall”: vendersi o no l’anima per il successo.
Questa volta decide di fare le cose davvero in grande stile. Arruola un vasto numero di musicisti di un certo rilievo tra cui non può mancare l’amico D. Jackson. Ci sono poi il chitarrista ex P. Gabriel e K Group John Ellis, la cantante new wave Lene Lovich e molti altri. E’ presente anche una rispettabilissima rappresentanza italiana: il bassista Marco Olivotto e il batterista Gigi Cavalli Cocchi che dalle note di copertina scopriamo aver militato nelle migliori prog band italiane come: Ligabue, Clan Destino e CSI(sic).
I musicisti sono suddivisi in diverse band che si susseguono lungo la durata dell’album e ogni band è caratterizzata da un suo sound. Ovviamente a farla da padrone è l’Orfeas Band, orientata verso un rock classico, anche se alquanto eccentrica è la presenza di un fisarmonicista. La musica della band si sviluppa principalmente in funzione dei due solisti del gruppo David Jackson e John Ellis che spesso suonano le stesse linee melodiche. Quest’ultimo interpreta anche il ruolo di Orfeo o meglio la mano di Orfeo, visto che la voce è quella di Judge Smith. Ellis con la sua chitarra è il vero asse portante del disco. Svolge un ruolo davvero notevole dimostrando una capacità di spaziare a 360° nell’universo musicale, per poter star dietro alle schizofreniche esigenze di Smith. Il ruolo di Euridice è invece svolto da una Lene Lovich, forse un po’ troppo impostata. I pezzi metal più estremi sono affidati ai Black Path di cui non è lecito conoscere informazioni biografiche e sui cui evito di dare ogni giudizio. A fare da sottofondo alle “interviste” di Orfeo c’è un ensemble d’archi di estrazione cameristica contemporanea che suona molto manieristico. I soliloqui invece sono curati dal multi strumentista David Minnick con John Ellis e la sua chitarra che rifanno il verso alle melodie dei discorsi di Orfeo. Infine troviamo David Shaw-Parker, unico interprete con chitarra e voce dei brani del bardo che scandisce i vari avvenimenti della storia. Questi pezzi hanno un sapore molto “hammilliano” con la voce di Shaw-Parker che ricorda molto quella del grande Peter.
Il disco è quindi molto ambizioso e purtroppo la musica non sempre riesce a stare dietro a queste ambizioni. E’ un pout pourri di stili un po’ troppo disomogeneo. E la voglia di spaziare in più generi pare forzata. Flamenco, Avanguardia, Death Metal, Techno, Rock, Prog… e alle volte si ha l’impressione di stare a mangiare la carbonara con la nutella e i gamberetti. Anche se un buona dose di humour rende il tutto un po’ più digeribile.
L’ombra di Hammill è presente e spesso ingombrante, ma ricorda anche il Waters più pretenzioso e logorroico, quello di “Radio Kaos” per intenderci. In alcuni punti è piuttosto prolisso e ridondante, cosa che comunque in qualche modo si può perdonare ad un opera rock. Non mancano certo gli spunti interessanti quasi tutti dovuti a John Ellis che con la sua chitarra riesce a essere più comunicativo di molti dei cantanti presenti sul disco.
Un disco riuscito a metà, in cui Judge Smith si dimostra forse più capace come librettista che come musicista. Malgrado tutto questo “Orfeas” ha un suo fascino insano, è un po’ folle e seppur tra momenti alti e bassi, a dir la verità più bassi che alti, riesce a intrigare in qualche modo l’ascoltatore!


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Francesco Inglima

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