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STRANDBERG PROJECT Made in Finland Seacrest Oy 2012 FIN

Se penso alla Finlandia mi vengono in mente paesaggi innevati, territori sconfinati nei quali la natura domina incontrastata, coste frastagliate e migliaia di laghi e laghetti che spezzano la continuità della terraferma; ma soprattutto provo un’irrazionale e opprimente sensazione di gelo che, altrettanto irrazionalmente, associo alla musica. È difficile sfuggire a questo luogo comune che fa considerare come “fredda” la musica realizzata nel nord Europa, sia che si tratti di freddezza nell’esecuzione o nell’atmosfera.
A conferma di tutto ciò arriva l’album degli Strandberg Project, i quali, quasi a voler infilare il dito nella piaga, intitolano il proprio lavoro “Made in Finland”, in una evidente dichiarazione d’intenti confermata anche dall’artwork, basato su colori freddi e soffusi. Le premesse per un ascolto “da brividi”, quindi, ci sono tutte. Ma la realtà come suona? A dir la verità l’album è sospeso tra il ghiaccio ed il fuoco, con suoni algidi ed evocativi che riescono però a suscitare una discreta, e calorosa, componente emozionale. Il genere proposto è una fusion jazzata e progressiva, morbida e vellutata, con rilassate venature malinconiche alternate a più vibranti digressioni funky. Lo strumento protagonista è il basso elettrico, assurto al ruolo di solista grazie a Jan-Olaf Strandberg, mente e guida del gruppo, e al virtuoso Michael Manring, ospite in alcuni brani (quelli più d’atmosfera), mentre il resto della band fa il suo dovere nel fornire una prestazione esecutiva al di sopra della media. L’iniziale “Crossfire” scorre sul filo della tensione, carica di suoni elettronici e ambient, “Yes, this is it” sposta il suo raggio d’azione verso una funky-fusion ritmata e “ballabile”, mentre “It’s a journey” sposta nuovamente il tiro verso un mood rilassato; si prosegue così sino alla fine, in un alternanza quasi perfetta di brani dalle due facce, con il basso onnipresente e fiati e chitarre a costruire gradevoli melodie.
Degno di nota il DVD allegato, contenente una parte musicale eseguita live in studio, breve nella durata (tre brani “ufficiali” e due bonus-track) ma interessante a causa di un’impostazione stilistica leggermente differente, sconfinante verso il jazz ed il jazz-rock, e una maggiore presenza della chitarra elettrica, la quale si lancia in virtuosistici assoli, e delle tastiere, suonate nientemeno che da Jukka Gustavson, storico componente dei Wigwam. Chiude il tutto un documentario che regala spezzoni dal vivo dello Strandberg Project insieme a Paul Jackson, storico bassista di Herbie Hancock nel seminale “Head Hunters”.
Non si tratta di un disco esclusivamente per fanatici del basso, nel caso lo abbiate pensato. La musica è piacevole, a tratti rilassante, a tratti più energica, ma è sempre suonata con classe e gusto. Da ascoltare, fosse solo per assaporare il contrasto tra il freddo jazz-rock scandinavo e l’infuocato funk nero.


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Nicola Sulas

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