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SLOE GIN A matter of time Blood Rock Records 2013 ITA

Esce per la Blood Rock Records – promossa e distribuita dalla ben più famosa Black Widow di Genova – l’esordio degli Sloe Gin, nuovo progetto del bassista Enio Nicolini, cioè colui che attualmente suona le quattro corde d’acciaio negli oscuri (fin dal nome) The Black. Attivo già durante gli anni ’70, Nicolini è stato cofondatore degli Unreal Terror e poi creatore degli Akron, compagine forse ancor più cupa ed inquietante della creatura del chitarrista-pittore Mario “The Black” Di Donato, le cui atmosfere venivano giocate proprio sul basso, senza alcun uso della chitarra. Sul lavoro preso in esame si segue la medesima strada, se possibile ancora più estrema negli intenti e nei risultati, chiamando a sé Eugenio Mucci, che cantava sia nei Requiem che negli stessi Akron, ed il batterista Giuseppe Miccoli (anche lui ex Requiem). Partendo dal riferimento di Geezer Buttler, storico bassista dei Black Sabbath che non ha mai nascosto di amare le scelte stilistiche e le timbriche “pesanti”, questo esordio sa parecchio di “Sabba Nero” scarnificato, c’entrandoci col prog come i cavoli a merenda. E risultando altrettanto indigesto.
Nicolini è un gran bassista, a tratti persino straordinario, e non si può non capirlo ascoltando questi undici pezzi, ma purtroppo non sempre l’ineccepibile bravura tecnica può supplire alle idee in ambito musicale. Qui di idea pare essercene una sola e la si ripete quasi lungo tutta la durata complessiva. Pare di sentire praticamente sempre la stessa cosa, nonostante si dica di voler portare avanti una proposta che spazi dal progressive al rock alternativo, magari anche con soluzioni doom in alcuni brani. Ecco, quest’ultima dichiarazione appare assai bizzarra. Sì, perché la base portante è proprio quella, un inesorabile doom che risuona come una sentenza senza appello, in cui il basso di Nicolini svolazza, si annoda e snoda, mostrando costantemente una padronanza dello strumento davvero invidiabile. Che possa essere definito prog-doom? Forse, ma l’aggettivo non cambia più di tanto il contenuto del sostantivo. Inoltre, la voce di Mucci (il quale ha anche scritto i testi) spesso risuona come un elemento di disturbo nello scorrere funereo della sezione ritmica, ricordando un po’ Franz Herde, primo vocalist dei Sieges Even, il quale non eccelleva certo per espressività. Peccato, perché brani come “My dog is beautiful” o “Spiritual coma” sarebbero potuti diventare ben altro con una chitarra o delle tastiere di qualche tipo, magari anche con un cantato più vario. Non è un caso che si distingua una canzone come “Islero”, che presenta un ritmo diverso con relativa impostazione vocale differente, e la strumentale “Digital space wave”, dove il semplice uso di suoni sintetizzati che imitano qualche onda sonora inquietante (stile vecchio film o sceneggiato horror) dà ben altro aspetto all’esecuzione.
Probabilmente era intenzionale voler creare un prodotto che fosse appannaggio di pochissimi fedeli, come del resto le scelte stilistiche della label di appartenenza impongono, ma la possibilità di chiamare un chitarrista (non per forza una figura “ingombrante” come Di Donato) dovrebbe essere presa in considerazione. Altrimenti, si rimarrà un po’ nella medesima dimensione dei Talisman Stone (due bassi e una batteria, pure loro italiani dediti al doom, che non a caso davano il meglio quando comparivano strumenti come il sitar). Ci sarebbe pure la possibilità che questa proposta venga usufruita da ragazzotti con croci al collo varie, i quali giocano a fare i depressi e forse nemmeno ascoltano davvero ciò che mettono nel lettore o sul giradischi, facendo propria solo quella che credono sia l’immagine. Se le cose dovessero andare in questo modo sarebbe un vero peccato, perché soprattutto Enio Nicolini, lo ribadiamo, meriterebbe ben altri consensi.



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Michele Merenda

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