Home
 
STORM (SPA) Lost in time Arabiand Rock/Musea Records 2013 SPA

Questa è la storia di un gruppo anni Settanta come tanti altri. Un gruppo di ragazzi di Siviglia che cominciano a suonare cover dei Beatles, Jimi Hendrix e Cream, quando gruppi come Maquina! Pan Y Regaliz, Musica Dispersa, nell’area catalana, e Smash, nell’area andalusa, erano al massimo del loro splendore e da lì a poco avrebbero cominciato il loro declino. Un gruppo che, nel momento in cui scopre i Deep Purple, ha l’illuminazione e converte il proprio suono verso uno heavy rock molto potente, dove chitarra e organo Hammond fanno la parte del leone.
Questa raccolta che andiamo a presentare, prodotta in 1000 esemplari numerati, contiene tutta la discografia degli Storm, anche se questa consiste solo in due lavori: “The storm” del 1974 e “El Dia della Tormenta” del 1979. Due lavori diversi tra loro, fatti in momenti storici e personali diversi. Il primo risente della forte impronta inglese dovuta all’infatuazione per il gruppo di Ritchie Blackmore e Jon Lord e la psichedelia inglese e rappresenta forse una delle migliori cose di questo genere uscite in Europa fuori dalla terra d’Albione. Considerato anche il clima di censura che c’era nella Spagna degli anni ‘70 durante il periodo franchista, gli Storm riuscirono ad ottenere un discreto successo, tanto che il gruppo dei fratelli Ruiz fu elogiato pubblicamente da Freddie Mercury quando la formazione aprì i concerti dei Queen durante le date spagnole del tour di quell’anno. Grazie all’interessamento del compianto frontman, la EMI propose alla band di entrare nella propria scuderia, purtroppo l’occasione sfumò (e con questa forse anche i sogni di gloria) per problemi con il manager, tal Jose Luis Fernandez Cordoba, vero e proprio deus ex machina nella buona e cattiva sorte del gruppo, visto che grazie a lui si decide di cambiare il nome della formazione da Tormentos a Storm all’inizio della carriera del gruppo e che viene anche omaggiato sulla loro prima fatica su vinile con un brano strumentale molto bello. Tutto il primo lavoro scorre in maniera potente e divertente. Punti di forza si trovano in “Woman mine” e “Crazy Machine” dove viene fuori alla grande l’influenza degli Atomic Rooster.
Dopo questo disco il gruppo deve assolvere gli obblighi militari e si scioglie per un paio di anni. Il clima musicale nel 1978 non è proprio favorevole all’heavy rock e alla psichedelia e il gruppo cambia pelle. Decide di cantare in lingua madre e anche se una linea musicale psichedelica di fondo rimane, “El día de la tormenta” risulta molto meno interessante rispetto all’esordio, considerato anche tutte le stupende cose uscite nello stesso periodo nella scena rock andalusa. Il gruppo spagnolo perde così il treno per il successo che ha visto solamente passare di sfuggita. Considerati anche gli scarsi riconoscimenti del secondo lavoro, il gruppo si scioglie definitivamente. Come tutti i gruppi rock anni ‘70, però, anche per loro c’è il momento reunion che si svolge in un festival rock organizzato nel 2006 a Siviglia per sostenere la lotta in Palestina. E’ lì che il gruppo serra i ranghi e comincia a comporre nuove tracce per un nuovo disco che non ha ancora visto la luce.
E’ una storia musicale come tante altre, come la maggior parte di quelle dello stesso tipo in Italia e non solo, non è finita benissimo ma scivolata nell’anonimato e riscoperta solo grazie al lavoro certosino degli appassionati. Come tutte quante le storie che vedono alla base ragazzi che cominciano a stare insieme e a coltivare un’amicizia nel segno della passione musicale, c’è entusiasmo e passione e poi spesso delusione per vedere sfumare quel sogno di successo che sembrava tanto vicino. E’ importante raccontare anche storie del genere e averne una testimonianza, non tanto per un punto di vista meramente musicale e tecnico (perché, come si intuisce, non stiamo parlando di capolavori assoluti della musica), quanto per avere la versione dei fatti di chi “la guerra” non l’ha vinta ma ci ha partecipato con onore. Per questo operazioni del genere dal mio punto di vista sono più interessanti di avere trentacinque versioni diverse di “The Dark Side of the Moon” o collezionare tutte le conversazioni al telefono dei solisti dei Genesis o catalogare tutti i pensieri scritti sul tram da Peter Hammil, perché ti danno l’idea di un movimento che era (e per il sottoscritto ancora è) pieno di persone che provano a coltivare dei sogni e che anche se non diventeranno mai i nuovi Pink Floyd almeno hanno qualcosa da raccontare ai nipoti. Dategli un’ascoltata.


Bookmark and Share

 

Antonio Piacentini

Italian
English