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SILHOUETTE Beyond the seventh wave Freia Music 2014 NL

Gli olandesi Silhouette possiamo facilmente inserirli nel novero dei gruppi new prog che ancora attendono di fare quel salto di qualità che li possa distinguere dalle numerose band simili presenti a quelle latitudini. E dobbiamo dire che “Beyond the seventh wave” (questo il titolo del quarto lavoro del gruppo), benché non sia un “must”, è sicuramente gradevole all'ascolto pur non abbandonando i cliché tipici del genere (o forse proprio per questo? ). Oltre a qualche cambio all'interno della line-up (a parte i confermatissimi Brian de Graeve, voce e chitarra 12 corde, Erik Laan, voce e tastiere, e Gerrit Jan Bloemink, basso), quello che immediatamente colpisce è la presenza, in qualità di ospiti, di una violinista, di un violoncellista e di una clarinettista (oltre al tastierista dei Kayak, Ton Scherpenzeel) che aggiungono prospettive nuove a quanto creato dal gruppo. Album ben prodotto, dal suono cristallino ma non esente da difetti. Ma procediamo con ordine. Le brevi “Prologue” e “Betrayed” ci immergono subito nel mondo Silhouette con un bel suono arioso, una chitarra “rotheriana” in evidenza e dosi massicce di sfolgoranti tastiere. La mini-suite, divisa in due parti, “Web of lies” enfatizza quanto appena detto con ritmiche brillanti e sostenute, grandi incastri vocali e synth a profusione. Più ricercata la seconda sezione, sottotitolata “The plot”, che mette in evidenza un buon uso degli archi,a creare un'atmosfera sottilmente rarefatta, anche se, ben presto, il ritmo torna incalzante con “solos” niente male di tastiere e chitarra elettrica. “In solitary” è una piacevole soft-rock ballad con il trade mark rappresentato dal “solito”, melodico, assolo di chitarra. Mentre, laddove i riff si fanno decisamente più sostenuti (“Escape”), il metal non è poi così lontano. Poi, più o meno a metà album, la luce si spegne o quantomeno si affievolisce. “Lost paradise” risulta nel complesso piuttosto stereotipata ed insipida, ripercorrendo con minore vigore ed ispirazione i solchi già tracciati nei brani precedenti. Anche “Devil's island” non lascia tracce particolari malgrado il ritorno del violino e del violoncello a sparigliare un poco il ripetersi delle stesse carte. Il trend che vuole l'album in calando è confermato dalla title track che, a parte qualche sventagliata di synth, non si fa certo ricordare, non dico per originalità, ma anche per gli input melodici, piuttosto fiacchi e scontati. L'evidente calo qualitativo degli ultimi brani,non può che lasciarci un pizzico di delusione perché le buone impressioni iniziali sono andate in parte disattese e collocano questo “Beyond.....” più o meno al livello, discreto, del precedente “Across the Rubicon”. Peccato. Sarà per la prossima volta. Speriamo, almeno.



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Valentino Butti

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