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SIMAKDIALOG Live at Orion Moonjune Records 2014 INDN

Fra le tante meraviglie che una terra lontana e particolare come l'Indonesia può vantare, è doveroso annoverare, in ambito musicale, questa grande band di matrice jazz fusion formatasi nel '93 e che all'attivo conta cinque album in studio e due dal vivo. L'ultimo live, oggetto di questa recensione e stampato su due cd dalla MoonJune Records, è stato registrato il 7 settembre 2013 all'Orion di Baltimora, data di chiusura della tournée di quell'anno dei SimakDialog. Per avere un'idea dello spessore di questo gruppo, basti pensare ai nomi dei membri che lo compongono, primo fra tutti il leader e fondatore Riza Arshad. Dotato di gran talento e di una buona dose di coraggio, questo brillante pianista, considerato uno dei massimi esponenti del jazz internazionale indonesiano, ama osare, sperimentare e percorrere strade tortuose, raggiungendo e scoprendo gradualmente nuovi scenari sonori, contaminando musica tradizionale indonesiana e musica occidentale. Un musicista di questo calibro non poteva non essere affiancato da un altro della stessa stoffa: l'altrettanto eccellente Tohpati. Di fama internazionale e conosciuto come uno dei migliori chitarristi dell'intero arcipelago, esprime al meglio la sua vena artistica accostando, in maniera molto personale, suoni moderni ad elementi tipici della tradizione popolare indonesiana. Quest'accoppiata vincente è sorretta da un bassista sempre all'altezza, Rudy Zulkarnaen, e da ben tre instancabili percussionisti; Endang Ramdan, Erlan Suwardana e Cucu Kurnia.
Sebbene le loro potenzialità siano già saltate all'occhio (o forse farei meglio a dire all'orecchio) con i precedenti lavori in studio, è sul palco che i SimakDialog danno il meglio di loro stessi. Come lo pseudonimo ci suggerisce (tradotto vuol dire "dialogo visivo"), alla base di questa band regna una forte intesa, una sorta d'interazione telepatica funzionale e applicata per lo più nelle numerose improvvisazioni. Questo "dialogo" non verbale in realtà interessa soprattutto Tohpati e Arshad; sempre in perfetta sincronia, i due costituiscono ormai un binomio formidabile e indissolubile. Sotto un cielo di sonorità vagamente canterburiane, la chitarra e il Fender Rhodes svolgono un compito determinante, arrivando a creare una specie di gioco del "condurre/seguire" del tutto imprevedibile, dai ruoli interscambiabili e che dà vita a forme sonore suadenti in continuo divenire, con un inizio ben delineato ma senza una fine altrettanto chiara. Non sono rari i richiami a Weather Report o Hatfield and the North, ma è un affermazione cui va dato il giusto peso; in realtà il marchio di fabbrica SimakDialog è sempre ben saldo.
Non si può di certo fare a meno di sottolineare il ruolo fondamentale dei percussionisti che, con percussioni di vario genere e metallofoni che ricordano il gamelan, danno un tocco esotico allo stile della band, rimandando a profumi e colori della loro terra di provenienza. La sezione ritmica è sempre ben pronunciata, a tratti addirittura invadente, coprendo in qualche occasione il basso che ricama comunque raffinate linee vibranti dal sottosuolo. Tutto risulta, in definitiva, perfettamente incastonato; le trame percussive s'inseguono, s'intrecciano fra loro e, assieme alla chitarra di Tohpati che serpenteggia senza sosta, donano slancio e dinamismo ad ogni singolo brano (soprattutto in “This spirit” e “Stepping in”) provocando un effetto domino fra suoni ipnotici, improvvisi arresti e ripartenze e ritmiche ossessive e riverberanti sviluppate all'inverosimile. Questo è il motivo per cui non è facilmente distinguibile in maniera netta un pezzo dall'altro, ma si ha piuttosto la sensazione di essere nel bel mezzo di un flusso di coscienza, di fluttuare in una dimensione senza limiti di spazio e tempo. Ed è anche la lampante dimostrazione di come alcune sonorità non propriamente "orecchiabili", contengano comunque un'elevata carica di pathos in grado di emozionare e lasciare l'ascoltatore con il fiato sospeso.
Credo e spero di aver reso l'idea del contenuto di questo grande opera, magistralmente eseguita, che vede al centro di tutto una performance straordinaria, nonché un'ottima qualità di produzione e registrazione. Unico neo? Non esserci stata.


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Silvia Giuliani

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