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BILLY SHERWOOD Divided by one autoprod. 2014 (Backyard Levitation Records 2015) USA

Nonostante le decine di collaborazioni in quasi 30 anni di carriera, nonostante abbia fatto o faccia ancora parte dei World Trade, dei Circa e che da qualche mese sia membro effettivo (come bassista scelto dallo stesso Chris Squire come suo “erede”) degli Yes, Billy Sherwood ha anche trovato il tempo per costruirsi una cospicua carriera solista. “Divided by one”, uscito nel 2014, è infatti il settimo (e penultimo) lavoro completamente prodotto, scritto, suonato e registrato dallo stesso artista americano. Non fatichiamo troppo ad immergerci in “Divided by one” pienamente immerso nello Yessound più commerciale ed easy-listening. Solo che QUEGLI Yes avevano un vocalist eccellente, un bassista dal suono unico ed un Rabin in stato di grazia… Ecco che quindi il paragone, per quanto accettabile, non può che sancire la “sconfitta” del buon Billy (e del suo album) nei confronti anche di “Big Generator”, per non parlare ovviamente di “90125” (fuori categoria al confronto…). Limitarsi a questo sarebbe però poco rispettoso nei confronti di chi ha comunque alle spalle anni di duro lavoro. Cercheremo quindi di contestualizzare l’album e porlo nell’attualità. Nulla da eccepire sulla qualità della produzione e sulla registrazione, ma sin dal brano introduttivo, “On impact”, avvertiamo qualche perplessità. Voce appena sufficiente, “appesantita”, peraltro, da un largo utilizzo dei cori, impianto melodico poco ispirato, qualche buono spunto di tastiere, un bel lavoro del basso (tutto è suonato da Sherwood, ricordiamolo) ma nulla di trascendentale. Appena meglio “The scene comes alive”, un poco più heavy ma anch’essa carente di un vocalist di personalità più spiccata. Discreta la ballad “Between us” con interessanti spunti di chitarra e tastiere pimpanti. La title track è un arioso new prog abbastanza convenzionale con un ammiccante refrain. Qualche traccia positiva è lasciata da “Sphere of influence”, appena più articolata dei brani precedenti, ma penalizzata sempre (e ci ripetiamo) da una voce piuttosto opaca. Gradevole “Here for you”, un’altra ballad ma con qualche chicca strumentale in più che non guasta. Il resto è “puro mestiere” con qualche sprazzo qua e là (un cambio di tempo, un ritornello, un assolo….) che però non può sollevare le sorti di un album decisamente insipido ed impalpabile… e neanche troppo radio-friendly perché privo dei guizzi necessari. Si leggono buone recensioni del nuovo “Citizen“ (di recente pubblicazione) che si avvale anche di ospiti di riguardo (Hackett, Wakeman….) ….proveremo anche quello. Sperando di non rimanere ancora delusi.



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Valentino Butti

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