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SO SLOW 3T Unquiet Records 2017 POL

Dalle inquiete terre polacche, sospese tra un crescente benessere tecnologico ed economico unito ad una sempre fervente, se non radicale, religiosità, con i fantasmi del passato regime non ancora del tutto sopiti, non ci si poteva aspettare oggi qualcosa di troppo diverso dalle intense sinfonie apocalittiche evocate dai So Slow con questo terzo album "3T", uscito per l'etichetta estrema Unquiet Records. I So Slow hanno da poco attraversato una nuova fase che li hanno relativamente allontanati dalle loro radici noisecore per virare più verso una forma piuttosto rude ed allucinata di sperimentalismo post-rock che dilata a dismisura le intuizioni presenti nei due precedenti lavori e li contamina pesantemente con forme di psichedelia degenerata.
La durata di "3T" rievoca le vecchie stampe su 33 giri, trentotto minuti come una volta, per tre lunghi brani, giusto l'essenziale ed il fondamentale da dire, senza perdersi in estenuanti lunghi ascolti è ancora il formato ideale per una musica concettualmente heavy come quella dei So Slow: "heavy" in quanto il livello di aggressione medio della musica è ancora piuttosto elevato tra bad trip di space rock oscuro ed inquietanti improvvisazioni dal retrogusto kraut. I So Slow non lesinano in fatto di riff crudi e vocalizzi urlati quasi gutturali, poca melodia insomma e parecchia intensità.
Di fatto "3T" non si tratta di un disco metal ma nel suo complesso è un disco ibrido di post rock nello spirito, venato con una dark ambient elettronica dalle atmosfere vagamente industrial ed esoteriche, con efficaci divagazioni di plumbea e grigia psichedelia (pare un paradosso ma in effetti è così). Il clima oppressivo ed alienante che caratterizza questo cd potrebbe scoraggiare più di qualcuno ma la componente sperimentale rende sempre l'ascolto alquanto interessante, sicuramente i fan dei Neurosis e GY!BE sapranno apprezzare; forse non pienamente piacevole per chi non è interessato ad approfondire gli aspetti più decadenti della musica... Ma del resto guardandoci in giro non è che ci sia poi così tanto da ridere, no?



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Giovanni Carta

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