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SWIFAN EOLH & THE MUDRA CHOIR The key Apollon Records 2019 NOR

Ennesima nuova band norvegese ed ennesimo balzo indietro nel tempo, a cavallo tra anni ’60 e ’70. Benché non possiamo che epidermicamente essere soddisfatti della ricchezza musicale che ci giunge costantemente dalla terra dei fiordi, a volte c’è anche il rischio di accogliere ogni ulteriore nuovo gruppo similare con un senso di sufficienza o comunque senza la dovuta attenzione, esclamando “eccone un altro!”. quando poi quest’ennesimo gruppo norvegese non sarà capace di stupirci più di tanto coi suoi effetti speciali, limitandosi ad un onesto lavoro di nostalgia e malinconia, con le consuete brumose atmosfere nordiche, ecco che il rischio che piombi immediatamente nel dimenticatoio è davvero concreto, a dispetto di una proposta musicale magari non disprezzabile.
La band fondata da Tom Inge Andersen (basso) e Rune Seip Bjørnflaten (chitarra e voce) non è giunta subito a registrare il suo primo album, facendo un minimo di gavetta e registrando un demo. Quando il momento è giunto è stato deciso di registrarlo dal vivo in studio, con qualche overdub successivo di voce, chitarra e tastiere. Il risultato è pertanto abbastanza dinamico ed anche un po’ improvvisativo, con qualche sezione che sembra un po’ tirata per le lunghe, ma comunque coinvolgente e divertente.
Detto dei due membri fondatori, la band si compone anche del batterista Jarle Alfsen e della vocalist Synøve Jacobsen; a loro si uniscono nel prodotto finale le tastiere di Ståle Langhelle (degli Jordsjø) e di Endre Christiansen (Shine Dion), nonché la voce recitante, su una traccia, di Gilli Smyth.
Devo dire che al primo ascolto, nonostante l’innegabile appeal della musica che possiamo ascoltare, l’album non si decide veramente a decollare prima di alcune tracce. L’inziale “Wounded Dreamers” ha un vago sapore Yes che la pervade ma è in realtà l’atmosfera quasi bucolica, gioiosa e dolcemente psichedelica che predomina in questa musica, con la consueta pletora di strumentazioni vintage e adeguate idee musicali. Il cantato di Rune Seip non appare particolarmente armonioso mantenendo anzi tonalità e caratteristiche quasi parodistiche; purtroppo la voce di Synøve (più aggraziata senz’altro ma anch’essa ben lontana dalle vette dei migliori cantati femminili) non viene particolarmente sfruttata, limitandosi per la maggior parte a dei cori e controcanti.
Ad ogni modo, come si diceva, l’album si muove abbastanza bene ma senza incantare né appassionare più di tanto, mantenendo un’andatura piacevolmente movimentata ma costante e lesinando guizzi creativi degni di nota. Il primo vero sobbalzo giunge all’altezza della quarta traccia (“Earth, Shakes, Rattles’n’rolls”), brano decisamente più interessante che assume connotati zappiani, con variazioni e ritmiche decisamente interessanti che ci inchiodano all’ascolto per i suoi 7 minuti e qualcosa di durata. Possibile che finora si sia scherzato? No, purtroppo, il disco ripiomba subito dopo dell’illustre anonimato per risollevarsi giusto in corrispondenza dell’ultima traccia (dopo aver superato il breve intermezzo che presenta il recitato della Smyth), dai colori scintillanti e psichedelici e qualche interessante parte di tastiere.
Non voglio lasciar pensare che si tratti di un album sciapo e di poco interesse. Diciamo solo che, a fronte di belle sonorità e all’ennesimo salto indietro nel mondo musicale di quasi 50 anni fa, non si può parlare di un album emozionante e coinvolgente ma di un discreto e moderatamente piacevole modo di passare una quarantina di minuti.



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Alberto Nucci

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