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SELDON Per quale sentiero Suburbansky Records 2018 ITA

Forse non molti si ricorderanno degli Esterhazy, band Prog fiorentina che negli anni ’90 non è purtroppo riuscita ad incidere niente di ufficiale, lasciandoci a futura memoria solo un paio di demo-tapes (erano gli ultimi anni in cui questo glorioso supporto scandiva i primi passi delle nuove bands) di Prog gradevole e sicuramente promettente. Dagli Esterhazy si sono successivamente originate due band come Biofonia e Merging Cluster, che hanno a quanto pare già esaurito il loro ciclo vitale dopo aver pubblicato un album a testa, ed infine questi Seldon, formati dal vocalist (nonché tastierista) Marco Baroncini nel 2008, giunti adesso al loro secondo lavoro in studio, dopo il discreto esordio di “Tutto a Memoria” (2015).
Assieme a Marco ci sono ancora i suoi tre nuovi compagni di viaggio, ovvero Francesco (chitarra) e Cristiano (batteria) Bottai e Carlo Bonamico al basso. Per una band che prende il nome da Hari Seldon, indimenticato personaggio chiave della trilogia galattica di Isaac Asimov, non stupisce che il primo brano si intitoli proprio “Cronache della Galassia” e che narri in breve proprio alcune vicende tratte da quella storia. L’album tuttavia non è un concept incentrato su di essa e le canzoni successive prendono altre pieghe narrative. Il cantato, così sbilanciato sul rock italiano più che sulla tradizione Prog (viene alla mente Francesco Renga… fortunatamente nel suo periodo iniziale all’interno dei Timoria), ma con escursioni ed armonie anche jazz, ha un ruolo preponderante e talvolta nella sua onnipresente narrazione sembra non adattarsi alle musiche le quali, in effetti, pur apparentemente costruite intorno ad esso, si trovano costrette talvolta a compiere qualche acrobazia per assecondarlo in maniera adeguata.
Le 7 canzoni tuttavia si muovono in maniera piuttosto dinamica e senza eccessivi intoppi, ricche di atmosfere decisamente accattivanti che, in maniera anche maggiore rispetto all’esordio, ricadono appieno all’interno del Prog italico, con i riferimenti maggiori che ci portano in direzione Banco, sempre con ritmiche jazz-rock che spesso vanno ad arricchire queste belle composizioni, quasi tutte al di sopra dei 5 minuti, con una punta di 11 rappresentata dalla splendida “Corpo e Anima”. Alla dominante presenza del cantato e delle sue ispirate liriche non poteva non contrapporsi una strumentazione adeguatamente degna di tenerne il passo e le acrobazie cui accennavo sopra riescono a tramutare un possibile lato debole dell’opera nel suo punto di forza, grazie ad una sezione ritmica di valore ed una chitarra che comunque riesce a prendersi i suoi spazi; le tastiere, da parte loro, si limitano invece ad un ruolo marginale, contribuendo alle armonie e poco di più.
Detto della bellissima “Corpo e Anima”, in cui peraltro le tastiere prendono vita e la canzone si snoda quasi inavvertitamente su ritmiche dispari, mi piace anche nominare le altrettanto belle, ancorché più brevi, “La Vita delle Ombre”, “Viaggio nell’Ignoto” ed anche la più breve di tutte, ovvero gli intensi tre minuti e mezzo di “Solaria”.
Un album a tratti entusiasmante che, malgrado la potenzialmente opprimente verbosità, scorre invece in modo abbastanza fluido e senza pesantezze.



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Alberto Nucci

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