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SCHERZOO |
04 |
Soleil Zeuhl |
2018 |
FRA |
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Al quarto capitolo della saga Scherzoo, Francois Thollot rimescola nuovamente le carte in tavola: abbandona le tastiere per dedicarsi al basso, conferma il solo Clément Curaudeau alla batteria rispetto all’album precedente, rinunciando ai suoni di chitarra e di sax e puntando su una coppia di keyboards-players, Anthony Pontet al piano elettrico e all’organo e Grégoire Plancher all’organo elettrico e al mellotron. Inevitabilmente, “04” è un album che si distacca un po’ dal passato degli Scherzoo, pur rimanendo stilisticamente molto vicino ai territori di jazz-rock già esplorati, mentre sembrano minori le derivazioni zeuhl. La strumentazione diversa porta così un nuovo percorso e suoni diversi, con risultati per lo più soddisfacenti, ma non senza qualche piccolo dubbio. Ma andiamo con ordine e proviamo a descrivere i contenuti musicali del cd. Il brano di apertura “Three-dimensional disorder” ci fa ascoltare il gruppo all’opera con una proposta spumeggiante, con l’accoppiata ritmica a sbrigare i suoi compiti con disinvoltura e abilità e piano elettrico e organo, con i loro toni caldi, pronti a incrociarsi e proposi in sentieri stravaganti, contribuendo ai numerosi cambi di tempo in un minutaggio abbastanza breve. Nemmeno il tempo di scaldarci ed ecco che “Kangouroo” ci surriscalda! Quattro minuti di evoluzioni canterburiane tenendo in vista i primi Soft Machine, con un tema divertente di base, le solite evoluzioni, gli stravolgimenti ritmici ed un sound ratledgiano che coinvolge totalmente. A ruota, “Crime et Chatiment” non fa altro che far aumentare le sensazioni positive: il primo minuto va in crescendo totale, poi Thollot prende le redini ed il suo basso guida verso nuovi sviluppi, raggiungendo nuovi climax. I sei minuti di questa traccia scorrono così, con questi strappi e quest’andamento continuo tra salite scattanti e rallentamenti che lasciano piacevoli sensazioni. Ecco, a questo punto ci stavamo proprio esaltando, ci attendevamo l’estasi ed invece arriva una doccia un po’ freddina con “Chat badin”, tre minuti spensierati e con timbri piuttosto algidi, al punto da sembrare, a tratti, un jingle per videogiochi. Fortunatamente c’è una bella ripresa immediata, con il jazz-rock di “Vingt-cinq”, nuova strizzatina d’occhio in direzione Canterbury, sponda Hatfield and the North – National Health. “L’instabilité de Kelvin-Helmholtz” è un altro momento un po’ asettico del disco, sulla scia di “Chat badin”, ma con qualche spunto più interessante rispetto a quest’ultimo. “Funambule” alterna passaggi spediti e vivacissimi a parti più rilassate e di atmosfera; con il mellotron a farsi sentire minaccioso in lontananza e gli articolati intrecci strumentali sembra quasi una liberissima interpretazione jazz-rock degli Yes da parte di Thollot. Gran finale con i quasi nove minuti di “Vortex”, che parte in realtà un po’ in sordina, anche perché di nuovo ci sono dei timbri un po’ freddi, almeno inizialmente, poi l’elettricità del piano comincia a scaldare meglio i motori, certe melodie vengono reiterate come avviene spesso nello zeuhl, basso e batteria si muovono splendidamente e non solo a livello ritmico, c’è un momento centrale dall’atmosfera di alta tensione, solos di organo e piano brevi e trascinanti ed una imprevedibilità che lascia davvero continue belle sorprese durante l’ascolto. Meno zeuhl, più scuola di Canterbury, quindi in “04”; forse si è perso un po’ di smalto rispetto alle precedenti prove discografiche, ma per ampi tratti è un gran piacere ascoltare anche questo nuovo prodotto di Thollot e soci.
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Peppe Di Spirito
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