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SPACEKING In the court of the space king Spaceking / Addicted Label 2013 RUS

Leggi il titolo e la mente vola subito a quel disco storico con cui i King Crimson aprirono un mondo nuovo nel 1969. Cominci l’ascolto del cd e alle primissime note dell’opener “Taklamakan” ti rendi immediatamente conto di quanto lo stile dei russi Spaceking sia in realtà così distante da quel mitico album. L’incipit di “In the court of the space king”, infatti, porta immediatamente in territori prog-metal, di quello tosto, con una chitarra particolarmente ruggente e che va avanti senza troppi fronzoli, evitando virtuosismi autoindulgenti e puntando più che altro su un impatto potente e immediato. E, passato il primo momento in cui si è un po’ interdetti, in realtà ci si rende conto che la band riesce a colpire favorevolmente. Sarà merito anche di quei rallentamenti che flirtano un po’ con lo space-rock, ma man mano che scorre il brano il coinvolgimento c’è e si arriva alla fine di questi cinque minuti e mezzo con la curiosità di ascoltare cosa c’è dopo. Ed è presto detto: si prosegue con questo prog-metal spesso e volentieri strumentale, capace di avvicinarsi ad una moderna psichedelia (“Judgement”, che ricorda i primi Porcupine Tree, ma con quell’aggressività in più), o di virare prepotentemente verso uno stoner abrasivo e incandescente (“Rosemary” e “54”), o, ancora, di modernizzare e rinvigorire l’energia dei power trio degli anni ’60 (“Labyrinth”). E se “Spaceking” mostra gli apprendimenti delle vecchie lezioni dei Black Sabbath, ecco che il finale affidato agli otto minuti di “Stardust” rileva l’animo un po’ più sperimentale della band: partenza con riff massiccio di chitarra elettrica che detta il tema di base e che si ripeterà costantemente inframezzato a momenti più rallentati, a strizzatine d’occhio agli Hawkwind, a brevi cavalcate che ricordano gli Iron Maiden, ad una pausa atmosferica tra Pink Floyd e corrieri cosmici verso metà brano, fino al finale in crescendo con la chitarra distorta e carica di effetti. Gli Spaceking si rivelano come gruppo capace di attirare per merito di un sound molto robusto, solido, che evita elementari scopiazzature dei classici Dream Theater e Fates Warning, ma in realtà non adatto a tutti i palati.



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Peppe Di Spirito

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