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LA STELLA ROSSA DEL KINOTTO La stella rossa del kinotto autoprod. 2018 ITA

Per prima cosa cerchiamo il “colpevole”: fu un anziano barista di Campobasso che, nel lontano 2006, suggerì il nome della band ad un gruppo di amici appassionati di musica. L’anno dopo, nel 2007, uscì un EP, “Figli di…” ed ebbe inizio una costante attività live. Nel 2009 “La Stella Rossa Del Kinotto” si sciolse per poi ritrovarsi nel 2014 ed iniziare a lavorare all’album di debutto che ha visto la luce, autoprodotto, nel 2018.
La line up presente sul cd è composta da Giuseppe “Jesus” Bianchi alla voce, Alessio “Cocai” Di Lallo al basso, Gianluca “Virgo” Vergalito alla chitarra elettrica, Armin Siros alla batteria (sostituito poi da Antonio “Tony” Armanetti), Giuseppe “Roial” Reale alle tastiere, oltre a Luca De Cesare (Frank Bretella) alla chitarra classica ed Alessandro Oliva al violino. Otto sono i brani che compongono la raccolta (dal titolo omonimo) compresa una bonus track (che chiude il lavoro), “Due di picche”, sin troppo avulsa dal contesto degli altri pezzi trattandosi di un brano à la… Skiantos…
Tematiche importanti vengono affrontate: l’orrore della guerra (chiave di lettura per “La canzone di Astolfo”, ma anche di “Non gridare più” e di “Rovine di Stalingrado), delle morti di parto (“Requie(m)”), delle difficoltà della vita nella speranza di “rivedere il sole” (“Oltre la palude”), degli amori impossibili e tormentati (“Diario di un amore lontano”) ed altro ancora. Le fonti di ispirazione del gruppo sono il pop italiano anni ’70 (Banco, Metamorfosi per l’uso in alcuni brani della voce…) con incursioni nel folk, nell’hard rock, nella classica e nella canzone d’autore, il tutto rivisitato con sufficiente personalità e gusto dal gruppo molisano.
Tra i brani migliori la lunga, oltre nove minuti, “Rovine di Stalingrado” (tristemente famosa la città per l’assedio cui fu sottoposta durante la seconda guerra mondiale). Un bello hard prog contraddistinto dall’incedere dello Hammond di Reale, dai riff sanguigni dell’elettrica e da una decisa sezione ritmica in cui si inserisce il cantato di “Jesus” Bianchi. In ordine sparso poi, incantevole “La canzone di Astolfo” che si apre con chitarra classica e violino (alle prese con un estratto del “Libro rosso di Montserrat” un manoscritto medioevale contenente danze e canti dell’epoca) che anticipano la voce imponente di Bianchi. Il brano si fa poi incalzante con qualche ritorno, en passant, alle atmosfere “medioevali” iniziali. Peccato che la chiusura repentina del pezzo “tarpi” le ali ad un pezzo che avrebbe meritato maggior sviluppo ed attenzione. Di pregevole fattura anche la “purpleiana” “Non gridare più”, con l’organo Hammond di Reale ad imperversare nei quattro minuti di svolgimento del pezzo e con un elegante intervento dell’elettrica di “Virgo”.
“Requie(m)” è un altro degli high lights dell’album. Un testo ed un argomento decisamente “importante” (una donna, una prostituta morta di parto) che si sviluppa in un crescendo continuo a partire dalla chitarra iniziale con l’organo ad accompagnare in sottofondo. Uno scanzonato violino offre un breve momento di tregua, ma il dramma è lì per compiersi… La voce è ora “urlata”, il ritmo più intenso, la chitarra elettrica si concede un lungo “solo” …ma la chiusura un po’ forzata penalizza ancora una volta il (notevole) brano. Meno avventurosa “Ai tempi di Kate Moss e Pete Doherty”, soft song abbellita dal solito Hammond e dalla chitarra di “Virgo”. Appare incompiuta “Diario di un amore lontano”, valida musicalmente, ma un po’ debole nella parte cantata... Peccato. C’è spazio ancora per “Oltre la palude”, un felice connubio tra hard rock e strumenti acustici (chitarra e violino).
Un discreto lavoro, nel complesso, penalizzato, probabilmente, dall’inesperienza che avrebbe, ad esempio, permesso di lavorare con maggiore scrupolo ed attenzione su alcune composizioni concluse, invece, in modo frettoloso. Le idee ci sono, la “voglia” pure, qualche doveroso accorgimento ed anche “La Stella Rossa Del Kinotto” potrà dire la sua nel piccolo grande mondo del prog nostrano degli anni a venire.



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Valentino Butti

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