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SUBVERSION Subversion Pôle Records 1976 (Replica Records 2021) FRA

L’omonimo e unico album dei Subversion è forse l’opera più oscura mai pubblicata dalla Pôle Records, la piccola etichetta discografica che faceva capo a Paul Putti e a sua moglie Evelyne Henri. Al fallimento della Pôle tutti i diritti del suo catalogo vennero venduti alla Tapioca che si diede cura di ristampare diversi album, ma non questo, divenuto col tempo una autentica rarità. Soltanto nel 2018 ne uscì una ristampa su CD a cura della tedesca Paisley Press e questo vinile rappresenta quindi l’occasione giusta per conoscere i Subversion.
Che notizie possiamo trovare in giro sui di loro? Proprio nessuna, e questo accresce sicuramente il loro fascino di gruppo enigmatico. Mixato dal grande maestro della musica elettronica Philippe Besombes, meglio conosciuto per aver realizzato la colonna sonora del film avanguardistico “Libra”, e registrato presso lo studio "du Chesnay" di Versailles nel 1976, questo album si colloca difficilmente in uno stile musicale definito ed appare per questo più sfuggente di quanto previsto. Ognuna delle 9 tracce che lo compongo presenta una propria anima che la contraddistingue rispetto alle altre. La teatrale voce solista che guida alcune di queste canzoni è quella del bassista M. Chiarutini di cui non conosco purtroppo il nome di battesimo, non espresso per intero sulla nera copertina del disco.
Nel brano di apertura, “L’Arbre Mort”, una delicata ballad folk sinfonica contrappuntata dai deliziosi ricami tastieristici di J. Hurel (nome non pervenuto neanche in questo caso) e dell’ospite Philippe Govin, ci fa pensare quasi agli Ange o ai Clearlight mentre nella bizzarra “Le Tube De L’Eté” diviene improvvisamente sguaiata e cabarettistica. Tutte le tracce sono piuttosto brevi e somigliano a dei rapidi schizzi con idee fresche espresse in modo spontaneo senza troppi preconcetti. Una delle più interessanti per la sua alternanza di stili è forse “Kaliani”, soft e bluesy all’inizio con il suo caldo Piano Fender e le delicate chitarre acustiche (in questo disco troviamo ben quattro chitarristi, i titolari Eric Mallet e Jean Luc Fauvel e gli ospiti Marc Perier e Michel Bonnecarrère), dolcemente cameristica nella parte centrale grazie all’apporto del violoncello di Eliot Bailen e Canterburyana sul finale con il Sax di Pierre Jean Gidon che ricorda molto i Caravan, il tutto in poco più di 4 minuti. “Rêverie” si presenta con un’aria festosa da piano bar col pianoforte di F. Giblat ed il sax a intrattenerci ma questo spirito disimpegnato viene interrotto da intermezzi dalle tonalità più drammatiche e sinfoniche in una piacevole alternanza di emozioni. L’album oscilla così dal jazz rock al prog sinfonico con guizzi avanguardistici come si possono respirare ad esempio nella saltellante “4 5 6” fino a raggiungere l’elettronica avanguardistica della conclusiva “Submersion”.
I colori musicali sono in generale spenti e le atmosfere in gran parte malinconiche e dimesse seppure non manchino diversivi e stravaganze a risollevarne l’umore. Forse questa alternanza di idee messe assieme talvolta in modo un po’ ardito potrebbe avere il sentore di indecisione ma in realtà penso più propriamente che esprima il carattere estroverso ed immediato di musicisti che non si facevano troppe domande sulla loro collocazione nel panorama musicale dell’epoca. Questo disco oscuro non è assolutamente esplosivo ma rappresenta un piacevole esperimento, una piccola meteora che si consuma all’istante per poi non lasciare traccia, polvere di stelle che torna a brillare grazie a questa ristampa su vinile.



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Jessica Attene

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