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SUB ROSA 11:11 Progressive Rock Worldwide 2021 BRA

L’espressione “sub rosa”, che in latino significa “sotto la rosa”, viene utilizzata in inglese per indicare segretezza o riservatezza. L’origine di questa simbologia è molto antica e nel Medio Evo una rosa sospesa al soffitto impegnava i presenti, quelli sotto la rosa, alla confidenzialità delle informazioni scambiate. Il gruppo brasiliano, nato nel 2006 su iniziativa del leader e bassista Reinaldo José e giunto al suo esordio discografico nel 2009 con il concept “The Gigsaw”, utilizza questa metafora per far intendere che bisogna dar valore a ciò che si nasconde sotto la superficie.
Se la musica, intesa come rosa, è la fonte di attrazione, bisogna comunque spingersi oltre per scoprire un significato più profondo. La forma musicale scelta dal gruppo è volutamente semplice, volta a raggiungere un pubblico ampio, ed i testi nascondono messaggi filosofici che hanno lo scopo di fornire indicazioni finalizzate a rendere migliore il mondo in cui viviamo. Non immaginate comunque cose sibilline, non ci vuole l’astrologo per decodificare i messaggi contenuti in questo album: “…Vorrei un mondo in cui il bisogno più grande sia l'integrazione. Vorrei un mondo in cui l'uomo sappia di essere tutt'uno con la Creazione… (“The Wishing Man”) oppure “…Quando scoprirai cosa sei, lo sarai. Quando abbatti quello che vuoi, lo farai. Fai quello che vuoi… (“Do What You Will”) ma anche, andando più sul filosofico … L'incontro di opposti complementari è sempre un evento cosmico. Generazione di una colossale supernova di Amore Incondizionato....
Non so se questi messaggi saranno utili a cambiare il mondo o, più semplicemente, il vostro modo di vedere le cose ma io andrei alla superficie e cioè alla musica. Sette anni di registrazione sono stati spesi per registrare questo doppio CD, pubblicato il giorno 11 Novembre dell’anno 2021 (ed ecco svelato l’arcano del titolo), per un totale di 113 minuti di musica. Sono presenti ben due tastieristi e cioè Antonio "ToSan" Ribeiro e Alexandre Salgueiro, anche se elementi tastieristici addizionali sono forniti dallo stesso Reinaldo José. Non immaginatevi comunque muraglie di synth o cose del genere, le tastiere sono utilizzate per creare atmosfera, per dare un tocco di colore o talvolta per costruire piacevoli suggestioni cosmiche ma non assolutamente per stendere i vostri sensi quanto per spingervi alla meditazione. A questo scopo certe ambientazioni Floydiane, sintetizzate con grazia ed eleganza, appaiono molto adatte e brani come “The Lambspring”, “XIII”, “Hanging On” o “Breakthrough Listen” sono lì a testimoniarlo. Non a caso il gruppo cita fra i suoi punti di riferimento Raul Seixas, artista che è considerato "Pai do Rock brasileiro". La matrice diretta e cantautoriale tipica di questo artista e certe atmosfere che ci riportano ad album come “Krig-ha, Bandolo!” (1973) le ritroviamo in quest’opera che non vuole troppi arzigogoli per comunicare col suo pubblico. Le chitarre di Rudolf Pinto ci offrono riff talvolta ben intagliati, come nella opener “Rue le Tabel”, che si presenta a noi in modo maestoso ma molto più spesso appare più discreta, con delicati arpeggi ma anche con eleganti assolo. La formazione viene completata dalla batterista Barbara Laranjeira mentre il ruolo di voce solista è ricoperto invece da vari musicisti fra cui gli ospiti Romulo Cesar e Marcia Cristina.
Il materiale sonoro è tantissimo e disperso in un totale di 22 tracce per lo più di breve durata, con l’eccezione rappresentata da “Slave to Freedom” che si discosta sensibilmente dalla media con i suoi 11 minuti totali. La qualità di queste canzoni è purtroppo disomogenea ed altalenante con una fatica nell’ascolto che si inizia a sentire abbastanza presto. Le buone idee, che comunque non mancano, sono comunque disperse e diluite e un’operazione di sintesi secondo me non avrebbe fatto male. Accanto a brani comunque interessanti ne troviamo altri che lasciano un po’ il tempo che trovano come “Liber Librae”, col suo rock and blues sgangherato, la canzonettara “Chariot of the Crowned Child”, col suo cantato imbarazzante, o “Fossil Irradiation”, una ballad melensa in cui la voce solista che dovrebbe essere l’elemento focale è insopportabile e sormontata dagli altri strumenti. Proprio il cantato si dimostra l’aspetto più problematico di questo album, anche se ci sono diversi artisti a farsene carico, nessuno dei quali appare realmente all’altezza del suo ruolo. I momenti strumentali, soprattutto quelli tastieristici, sono quelli più preziosi dell’opera e cito ad esempio “The Lost Word”, di ispirazione cosmica come pure “Romance Hermético”, molto suggestiva, in cui la scelta di recitare gli aforismi di Edgar Franco risulta molto felice. Buoni anche i registri organistici di “Fossil Irradiation” mentre il basso risulta spesso troppo in primo piano.
Non sono contro la semplicità ma semplicità non vuol dire che possiamo fare a meno di curare i dettagli. Concordo nell’importanza dei messaggi veicolati dalla musica ma la musica non può essere un semplice accessorio. Lo so che dei validi artisti hanno spesso tantissimo da comunicare ma questo non significa che dobbiamo fare a meno di operare delle scelte, a partire dalla scelta di un valido cantante di ruolo, lasciando invece all’ascoltatore il compito di districarsi in un campionario di canzoni spesso sconclusionate. Mi spiace molto per il risultato finale di un’opera che nonostante gli anni di gestazione non ha trovato la sua piena realizzazione artistica ma siccome le idee non mancano e neanche le capacità e le motivazioni di base sono ottime, senza aspettare tantissimo tempo sono sicura che sotto la rosa nel prossimo futuro sboccerà un ottimo terzo album.



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Jessica Attene

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