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SOLSTICE Sia Giant Electric Pea 2020 UK

La carriera dei Solstice, iniziata negli anni ’80, è stata molto discontinua, a causa di numerosi cambi di formazione e delle ampie distanze che separano le uscite discografiche. A dispetto di ciò, tuttavia, la band capitanata dal chitarrista e compositore Andy Glass è riuscita a toccare sempre buoni livelli qualitativi, mantenendo costante quel new-prog che fa tanta attenzione alla melodia, cantato sempre da una voce femminile e nel quale sono pronti a inserirsi elementi folk, spesso grazie al violino. In “Sia”, che esce a distanza di sette anni dal precedente “Prophecy”, troviamo ancora una volta una rinnovata line-up, ma gli elementi stilistici restano invariati. Il disco si apre subito col brano più lungo (quasi tredici minuti) e che aspira a diventare un classico dei Solstice, “Shout”. Si parte con una intrigante introduzione atmosferica, poi dopo più di mezzo minuto l’esplosione, con un giro di basso veloce e ipnotico, ritmi gioiosi e il violino a ricamare. Passa poco più di un minuto ed ecco che conosciamo la voce di Jess Holland, ottima, diretta, dalle venature pop, ma che sembra subito perfetta per la musica dei Solstice e per quelle melodie vocali al contempo immediate, affascinanti e cariche di feeling. Alternando parti vocali e strumentali, arriviamo ai cinque minuti dove si affaccia una sezione più pacata e con tempi più lenti, carica di suggestioni positive e nella quale Glass può far viaggiare la sua chitarra in uno dei suoi tipici assoli. Toccati i dieci minuti e mezzo, ecco il nuovo stravolgimento ritmico e il pieno ritorno alla parte vivacissima, che si protrae fino alla fine. Un inizio a dir poco travolgente che trasmette immediatamente le vibrazioni giuste. Gli altri brani magari non toccano gli stessi vertici qualitativi, ma mantengono standard comunque elevati. Spicca la delicatezza della ballad malinconica “Long gone”, davvero toccante. Ma tutto è interessante, dai piacevoli impasti elettroacustici di “Love is coming”, all’esuberanza di “Stand up”, costruita attorno ad un riff di violino che detta una allegra danza folk; dal solido new-prog di “Seven dreams”, al romanticismo sinfonico di “A new day”, che, inizialmente guidata da voci e chitarre acustiche, diventa poi più epica, raggiungendo il climax grazie ad un intenso guitar-solo. In conclusione, una chicca, ovvero una nuova versione di “Cheyenne”, uno dei loro brani più belli, risalente all’esordio “Silent dance” e momento fondamentale e coinvolgente dal vivo. Questo rifacimento è riuscitissimo; la Holland offre una splendida interpretazione di questa splendida composizione, che conserva intatto il suo alone di magia, nella partenza carica di pathos e nel finale più ritmato con l’insistita evocazione vocale. Grazie ad un Glass ispiratissimo e in splendida forma, ai suoi compagni di avventura che sembrano seguirlo al meglio e ad una solarità contagiante, “Sia, segna un passo avanti rispetto al pur discreto “Prophecy” e a livello di qualità non si discosta tantissimo dai primi due lavori del gruppo.



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Peppe Di Spirito

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