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TEGEN HART |
Noise underground |
autoprod. |
1990 |
ITA |
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Forse è il caso non incensare indiscriminatamente tutto ciò che viene analizzato sulle fanzine. Sussiste, importante, la necessità di supportare l'underground, ma è anche vero che qualche sana critica costruttiva non può che giovare all'intero movimento.
In tal senso si giustificano gli appunti che ho intenzione di muovere ai Tegen Hart, band milanese di metallo intelligente giunta all'improvviso esordio su vinile. La grafica del disco risulta piacevole, eccezion fatta per un invadente sponsor birraiolo sul retrocopertina. Il gruppo dimostra indubbio coraggio ed intraprendenza nel non battere i sentieri più scontati del rock duro: rimangono lontani dalle menti dei musicisti trends attuali che significano street, AOR o speed-thrash. Nonostante una personalità ancora in via di definizione (o forse grazie a tale caratteristica), i Tegen Hart provano a misurarsi con dilatate composizioni dalle coordinate piuttosto eterogenee, anche se è ravvisabile un comune denominatore fatto di eticità e buon gusto melodico. Così tracks come "Last assault" o "Flight to the freedom" indulgono verso la cavalcata belligerante ma non irriflessiva; "Flight in the night" e "Lonely suburb", pienamente progressive per la durata (entrambe sui 9 minuti) e per l'accavallarsi di temi, propongono invece un sound a tratti più tastieristico, pomp-oriented. L'intero lavoro pare inoltre pervaso da una convincente, gotica oscurità che rimanda a determinate sensazioni dei Black Sabbath o dei mai troppo lodati Warlord.
Ma allora va tutto bene? Purtroppo no. In vari frangenti affiora stanchezza e mancanza di maturità; inoltre siamo alle solite per quanto concerne le parti vocali, anonime e poco incisive, oltre che di malferma intonazione, specie sul registro basso. Fuori luogo il coro di "Outlaw", stentoreo quanto i cantati di Cochi e Renato. Troppo cattivo? Non credo. I Tegen Hart hanno dalla loro buone idee ed entusiasmo ma devono -perché possono!- assolutamente progredire per evitare le pause musicali e le incertezze vocali di quest'opera prima, che va comunque ben oltre la sufficienza. Un'ultima osservazione: sovente si rimprovera un certo provincialismo ai gruppi italiani; ebbene, non sarebbe il caso di curare maggiormente la pronuncia inglese? E ciò non vale, ovvio, solo per i Tegen Hart...
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Francesco Fabbri
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