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TEN MIDNIGHT TenMidnight autoprod. 2005 ITA

Il lavoro d’esordio dei bolognesi TenMidnight va apprezzato per quello che è, ovvero il frutto della passione nei confronti del Rock Progressive, senza grosse pretestuosità. La pubblicazione di questo CD è sicuramente acerba e, se fosse avvenuta tramite qualche etichetta, sarebbe quasi da definire disastrosa. I 5 ragazzi bolognesi hanno invece pubblicato il loro primo album senza ambizioni di entrare nella storia del Prog, ma solo per darsi una sorta di punto fermo e per farsi conoscere. In quest’ottica inquadriamo le 7 canzoni del CD (più un intro) in un’ottica sicuramente diversa, apprezzando l’entusiasmo e sorvolando sulle pecche che inevitabilmente talvolta vanno a detrimento di quanto di buono viene fatto. L’atteggiamento musicale del gruppo, tendenzialmente molto ‘70s, è certe volte troppo in stile cantautoriale / rock italiano ed il cantato viene messo sovente troppo in primo piano, a discapito dell’aspetto strumentale. Le canzoni sono quasi tutte piuttosto semplici, ricche di ritornelli e cori orecchiabili, con sonorità di tastiere dal canto loro poco accattivanti, se si eccettua qualche sporadica sciabolata di Hammond. La lunghezza media delle canzoni si attesta tra i 6 e i 7 minuti e mezzo ma solo in un paio di casi quest’ascoltare la musica senza fretta, vero credo ideologico della band, si concretizza in brani che vadano al di là di un approccio appena più che lineare. Fan parte di questo novero canzoni come “Illusion of mind” e “Mission” (i titoli sono tutti in inglese ma il cantato alterna questa lingua all’italiano, facendo prevalere però quest’ultima), due brani più elaborati e complessi della media, stilisticamente vicini ad uno hard rock anni ’70 (e non sono gli unici), e finalmente con buone parti strumentali. Purtroppo ritornelli ed atmosfere cantautoriale ritornano subito dopo, anche se “My life, my soul” è condita da qualche momento musicale interessante, con brevi citazioni dei Queen e un bell’assolo finale di batteria. L’ultima parte del CD si attesta di nuovo, purtroppo, su livelli poco interessanti quindi, dopo una discreta parte centrale; gli arrangiamenti cercano di essere ricercati, per nulla banali, anche se soffrono di alcune spigolosità e talvolta i passaggi sono un po’ macchinosi. In definitiva si tratta di un album su cui non mi sentirei di sparare a zero, nonostante le molte perplessità che suscita; un po’ per i motivi elencati ad inizio recensione, ma anche perché di cose buone tutto sommato ce ne sono.

 

Alberto Nucci

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