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TRESPASS (ISR) Morning lights Musea 2006 ISR

Il vecchio addormentato di dimensioni mastodontiche, forse una divinità, che si adagia su un ponte usando un camion dei pompieri a mo' di cuscino, mentre la gente quasi imperturbata, in uno scenario da fiaba, ammira la scena, sembra quasi voler significare che il mondo della mitologia, del sogno, del fantastico, prende possesso di quello reale. In questa confusione fra moderno e reale, antico e fantastico, sembra aleggiare la musica dei Trespass, giunti con questo "Morning Lights" alla loro seconda prova in studio. Si tratta di un'opera proiettata verso il passato, dal sapore decisamente vintage, dominata da suoni maestosi e sinfonici, con chiari riferimenti ad EL&P ma anche con bellissime suggestioni tardo rinascimentali e barocche, in un insieme sonoro che potrebbe far pensare ad una perla dimenticata del progressive rock underground statunitense degli anni Settanta e non a caso uno dei gruppi che balzano alla mente all'ascolto di questo album è quello dei Cathedral di "Stained Glass Stories".
Il momento centrale dell'album è sicuramente rappresentato dalla title track: una monumentale suite di oltre 20 minuti, in cui i tre musicisti suonano al massimo delle loro potenzialità tecniche ed espressive. L'apertura, una sequenza riprodotta al contrario, con cori di Mellotron (o suo analogo), flauto dolce e organo a canne, ci accompagna in un paesaggio musicale onirico di grande suggestione. Dolcemente si inserisce un motivo di ispirazione barocca, anche questo basato sull'organo liturgico, e via via la musica esplode con vigore con il sopravvento di un Moog prepotente in un incessante turbinio di note. L'apporto tastieristico è imponente, con una bellissima varietà di suoni ma impressionante è anche il lavoro tentacolare della sezione ritmica (ad opera del batterista Gabriel Weissman e del bassista Roy Bar-Tour), con una bellissima varietà di cambi di tempo e giochi acrobatici. Si tratta di un virtuosismo a volte esasperato ma senza dubbio mai fine a sé stesso con un'attenzione costante al mood della canzone, al quadro d'insieme, al coinvolgimento emotivo. Anche la qualità della registrazione, non perfetta, accresce il fascino dell'album, proprio come la polvere che si solleva all'apertura dei pesanti portoni di un vecchio castello accresce il mistero e la magia del luogo. Di non minore effetto, anche se costruita prevalentemente su fraseggi meno affollati di note e su tematiche sognanti e fiabesche, appare "Ripples", il secondo brano per minutaggio del CD, con i suoi 12 minuti. A momenti gentili da ballad che occupano soprattutto le parti cantate, vengono alternate fughe strumentali spesso vertiginose con temi classicheggianti, un po' alla Trace, e morbidi richiami ai Genesis, anche se in questo caso lo spettro sonoro usato per i registri di tastiera è ben più ampio. Molto bello è l'effetto del cantato: la voce di Gil Stein (in pratica il tastierista e flautista) è molto gradevole, vellutata sui suoni bassi, fragile su quelli alti, e sembra provenire magicamente a noi dal passato remoto.
Le tracce rimanenti sono dei brevi strumentali: quella di apertura, "Song of Wings", che fa da introduzione alla suite, "Vivaldish" (il titolo dice tutto), basata sul concerto per violino in La minore di Vivaldi, e quella di chiusura "Forest Bird's Fantasy", un grazioso pezzo di atmosfera, anche questo intriso di riferimenti classici, che si apre e chiude con il canto degli uccellini.
Forse i soliti detrattori si sentiranno annoiati all'idea di ascoltare un album di maniera, derivativo, ma a volte è bello aprire le porte a un mondo da sogno, risvegliare i vecchi fantasmi e cullarsi nell'illusione che il passato possa tornare ad esistere perfetto, splendido, uguale a sé stesso… specie se l'incantesimo scaturisce da un album così bello, la cui durata (48 minuti circa) gli permetterebbe oltretutto di stare bene su un vinile.

 

Jessica Attene

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