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TRINITY |
Harmadkor |
autoprod. |
2008 |
UNG |
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Questo bellissimo CD mi conferma che ha un senso parlare di scuola danubiana moderna, molto spesso infatti le uscite ungheresi trovano un filo conduttore comune che si concretizza in un certo gusto sinfonico, nei riferimenti alla musica classica, nell'inserimento di elementi orchestrali… beh, qualcuno mi potrebbe obiettare che queste caratteristiche sono poi quelle che si ritrovano in parecchi album di prog sinfonico provenienti da diverse parti del globo. Sì, questo è vero, ma in Ungheria questi elementi acquistano un carattere abbastanza riconoscibile, vuoi per il songwriting, vuoi per la maniera tutta loro di miscelare le influenze classiche con delicati richiami locali. Non mi dite che ascoltando certe linee di pianoforte e flauto di questo album non pensate subito agli After Crying o in altre occasioni ai Solaris. L'avventura di questi cinque ragazzi inizia nel 1998 con la fondazione della band e solo oggi, dopo anni di maturazione, scanditi dalla pubblicazione di qualche demo, giunge il CD d'esordio. Il lungo training ha permesso ai Trinity di raggiungere un proprio stile musicale e di realizzare un esordio interessante, ben arrangiato, e notevole dal punto di vista compositivo, pieno di idee, forse raccolte lungo il loro processo di crescita nel corso di un esteso arco di tempo. Davvero l'unico appunto che si potrebbe fare a questo CD riguarda la fase di produzione, nel senso che un budget maggiore o forse una maggiore esperienza in questo campo avrebbero permesso di migliorare la resa dei dettagli sonori. Si tratta però di voler cercare il proverbiale pelo nell'uovo dal momento che la freschezza e in un certo senso la ruvidità dei suoni ci dà l'impressione di un prodotto genuino, suonato con l'anima, proprio come poteva accadere nei primi dischi degli After Crying. Le nove tracce presentano una bella varietà compositiva ma hanno tutte uno stile ben riconoscibile, sono disseminati i riferimenti alla musica classica e vi è un uso estensivo del pianoforte e del flauto. In particolare sono molto belle e caratteristiche le parti in cui il pianoforte si intreccia alle tastiere, come nella superba "Fantázia". Questa traccia è praticamente legata alla precedente "Szrelmesdal", la quale parte come una folk song dagli accenti flamenco per poi sfociare in maniera inaspettata nella già citata "Fantázia". La musica si fa movimentata e vi è una bella alternanza fra parti tastieristiche maestose, un po' alla Solaris, a parti più vibranti e delicate ricamate dal pianoforte. Queste belle alternanze sono gestite attraverso un songwriting dinamico e fluido, che permette alle canzoni di evolversi, svilupparsi, senza perdere mai il filo conduttore e senza mai dare accenni di cedimento o di noia, segno questo di una grande capacità compositiva. Il cantato, ad opera del tastierista Márton Segesdy, è particolare, ma nonostante l'apparente ostilità, data forse da una lingua di per sé non scorrevole come l'ungherese, ha una sua magia. Uno dei pregi grandi di questo gruppo è quello di far risaltare l'emotività dei pezzi, ponendo grande enfasi nei passaggi decisivi. "Valaha" è esemplare in questo, con le sue parti di flauto leggiadre ed il progressivo crescendo strumentale dominato da cori di archi simil Mellotron sullo sfondo ed un pianoforte indiavolato in primo piano. I momenti più concitati sfumano con una naturalezza irreale fra le soavi note del flauto di Rita Deme-Farkas e la canzone prende tutto un altro corso. Ma la band non si stanca e l'ultima traccia, la nona, è anche la più lunga e con i suoi ventuno minuti, distribuiti in sette movimenti, permette all'album di superare l'ora di durata. Lascio a voi il compito di scoprirla perché chi ha subito l'incantesimo del prog ungherese non resterà indifferente a questo bel disco. L'unica grande pecca sta nella distribuzione, se siete interessati quindi dovrete contattare direttamente il gruppo sul suo sito web.
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Jessica Attene
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