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TINYFISH |
Curious things |
Festival Music |
2009 |
UK |
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Che ognuno abbia la propria idea sulla musica, è cosa sacrosanta. Che ognuno abbia la propria idea sul prog, può essere altrettanto salvaguardato, anche perché, come ben sappiamo, i canoni che definiscono il rock progressivo sono alquanto elastici, labili, personali, indefiniti e sfuggevoli. Però, quando mi si propone un disco che dovrebbe contenere prog e poi, al contrario di tutti quanti ne abbiano già parlato e scritto, io avverta cose opposte, mi viene da pensare. E i pensieri sono fatti strani. Comincio a credere d’aver sentito male io, comincio a ragionare sul fatto che la “mia idea” del prog sia troppo categorica e che forse, tutto sommato, ascoltando bene e rilevando meglio, ciò che ho nel lettore possa essere comunque ricondotto al progressive. Niente da fare, io questo disco l’ho ascoltato diverse volte e non riesco a vederlo come disco di prog. E allora gli altri cosa ci sentono? Dov’è “la profonda e radicata acquisizione dei temi del progressive inglese”?, dov’è il disco da 10 su 10 decantato da più di un sito come frontiera del nuovo progressive? Veramente questi quattro musicisti del South London, sono cresciuti a pane e progressive?
Questo lavoro è composto da 7 brani e non arriva alla mezz’ora complessiva. Vero che, come dichiarato dalla band, si tratta di una sorta di compilation di brani realizzati prima dell’esordio, avvenuto nel 2006 con il disco omonimo al gruppo, quindi i brani a disposizione quelli erano e quelli hanno messo.
Pur buoni come qualità di incisione, suono, esecuzione e arrangiamenti resta il fatto che il loro impatto sonoro sia molto, molto vicino a canzoni pop-rock stile anni ’90 e new wave anni ’80. Non tanto per l’utilizzo dei suoni tipici del periodo, quanto per la costruzione sonora dei brani stessi. Inoltre l’ottimo vocalist Simon Godfrey ha una voce che sembra nata, cresciuta e cesellata sui timbri delle band new wave George Michael in primis. Per i brani si può citare l’opener “The June Jar” e il suo deciso, ma alquanto semplice giro di basso. Oppure la successiva “She's All I Want”, con la quale entriamo appieno negli anni ’80 degli XTC, per carità forse la cosa più intelligente dell’ondata British del periodo, ma parlare di prog mi sembra eccessivo e in più dobbiamo tenere le debite distanze e proporzioni dall’eccelso songwriting di Partridge. Non è proprio possibile gridare al miracolo neppure per la medio lunga “Why VHF?” che sembra un ritaglio da un disco di Mike & The Mechanics.
Tirando le somme (tanto alla fine si fa in fretta), per me le somiglianze sono piuttosto chiare: diciamo un Invisible Touch dei Genesis miscelato ad un disco degli Wham. Vogliamo far finta di esserci cascati e credere che questo sia un disco di musica prog?
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Roberto Vanali
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