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T. PHAN |
Last warrior |
Musea |
2009 |
FRA |
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Ai più attenti conoscitori del progressive francese, la sigla T.Phan potrebbe far intuire qualcosa, stante l’assonanza con il nome di una band molto apprezzata verso la metà degli anni ’70, i Tai Phong. Chi è riuscito ha fare questo collegamento è in effetti nel giusto, visto che dietro entrambi i progetti troviamo il batterista Stéphan Caussarieu. Ma se con il gruppo originario Caussarieu era solo uno degli elementi di una organizzazione di squadra, questo ritorno sulle scene lo vede protagonista, in pratica, come one-man-band, visto che canta, suona batteria, percussioni, piano, tastiere e chitarre ed è coadiuvato solo in alcuni brani da altri musicisti. Certi legami tra le due esperienze sono chiaramente avvertibili e proprio la title-track posta in apertura del cd, che si candida ad essere uno dei brani simbolo di questo nuovo lavoro, ne è una dimostrazione, grazie ad un romanticismo tutto particolare, caratterizzato da un rock sinfonico molto elegante, in cui tastiere e chitarra si incrociano a meraviglia e le parti ritmiche giocano un ruolo di primo piano, ma mai sopra le righe. Si tratta solo della prima di una serie di quindici composizioni molto belle, di durata contenuta, ma sviluppate con gusto e sapienza. A volerne segnalare qualcuna, di certo menzionerei il gioiello di solo piano “After storm piano”, tra new-age e musica classica, che può ricordare anche certi pezzi di Satie; “Play like that”, con i suoi tripudi batteristici ed una particolarissima e riuscitissima contaminazione che mi fa venire in mente Zappa, Brand X e Pink Floyd; “New-York lights on”, tra jazz e Sting; le due parti di “Not mine”, che potrebbero essere viste come un new-prog senza eccessi e con qualche leggera influenza orientale; o anche la conclusiva “Lost in the Koursk”, con guitar-playing che riporta alla mente David Gilmour e Andy Latimer. In qualche occasione emerge un orientamento pop, che si mantiene comunque raffinato e non porta mai a banalità che potrebbero diminuire il valore dell’album. Alla fine vien fuori un lavoro compatto e scorrevole, che non stanca mai nella sua ora di durata con questo rock sinfonico leggero, vivacizzato da qualche spruzzatina di fusion e da qualche episodio più “diretto”. “Last warrior” sembra quindi voler proseguire quel discorso musicale interrotto trent’anni fa, cosa che sicuramente può risvegliare la curiosità dei vecchi fan, ma che allo stesso tempo può attirare nuove leve verso questa interessante proposta.
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Peppe Di Spirito
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