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TROTTEL STEREODREAM EXPERIENCE Embryo Trottel Records 2010 UNG

Più che di una band nel senso comunemente accettato, parlare dei Trottel significa tirare in ballo la storia della musica indipendente ungherese e ripercorrere le tappe che l’hanno portata fuori da una condizione forzata di underground con la transizione verso la democrazia del paese dell’ex-blocco sovietico. Una formazione denominata Trottel è infatti già all’opera a Budapest nel lontano 1985, pur limitando la sua attività a sporadiche esibizioni nella propria città natale - spesso interrotte o annullate da interventi “preventivi” delle forze di polizia locali – e al “contrabbando” di nastri con registrazioni domestiche della propria musica. Con l’interessamento di un’etichetta francese nel 1988 ed i contemporanei stravolgimenti del sistema politico nazionale, la band può dare alla luce il primo LP ed iniziare un’intensa stagione “on the road” praticamente ininterrotta fino ai giorni nostri, mantenendo una line-up stabile per i primi tre dischi, che contemplavano anche la presenza di parti vocali. Con l’inizio degli anni ’90 e la dissoluzione della formazione originale, i Trottel divengono di fatto il progetto del bassista e compositore Tamás Rupaszov, unico comun denominatore in una vasta discografia che contempla progetti paralleli (“Troxx”, una formazione di sole chitarre), cambiamenti di denominazione (“Trottel Monodream”, “Trottel Stereodream Workshop” fino all’odierno “Trottel Stereodream Experience”) e di orientamento musicale (space-rock, elettronica, acustica) tutto ciò assolutamente comprensibile considerando l’avvicendamento nelle fila di una ventina di musicisti.
Quasi impossibile di conseguenza ripercorrere la labirintica evoluzione della band, meglio parlare di questo nuovo lavoro che vede all’opera un quintetto dedito ad un viscerale ma elegante space-rock strumentale con contaminazioni etniche, arricchito dal suono di un violino, ormai da molti anni segno distintivo del suono dei Trottel e qui suonato da Nora Neukum, dai fiati di Rita Kardos e da una chitarra (István Puskás) che spesso indulge in escursioni siderali con slide e glissando. Il suono è assolutamente organico, come lo era quello degli inarrivabili Ozric Tentacles di Erpland (qui sorpassati però in quanto a varietà della strumentazione), i brani pur lasciando spazio a divagazioni e improvvisazioni appaiono sempre ruotare attorno ad un tema di grande impatto, senza mai lasciare il retrogusto della jam fine a se stessa.
Basterebbe l’estesa title-track per esemplificare l’efficace canovaccio cui si attengono i Trottel: arabeschi di violino che si sovrappongono a corposi inserti di sax soprano, per lasciare spazio ad ammalianti sequenze sintetiche e infine alla deflagrazione delle chitarre (fa spesso capolino anche una steel-guitar). La successiva “The time traveler” è introdotta da un botta e risposta tra violino e chitarra-sitar e lanciata in orbita da gorgoglianti synth su un’intricata serpentina di basso, il tutto supportato dalle dinamiche percussioni di Dani Papp: tutti i passaggi suonano spontanei e naturali, ed è questo in definitiva il punto di forza della band. Probabilmente il resto del disco (“Steady moments”, più in stile Mandragora, “New soundscapes”, basata su una ritmica squadrata e pulsante e culminante in un liberatorio assolo di scuola gilmouriana e l’inquietante “Virtual”) dal mio punto di vista soffre di alcuni leggeri cali di tensione, pur mantenendosi su livelli più che soddisfacenti e mai annoiando l’ascoltatore.
Come accennato nel cappello introduttivo, Trottel è oggi anche un’etichetta discografica indipendente che funge sin dal 1992 da canale privilegiato per la produzione e la promozione di decine di band dell’insospettabilmente folta scena underground ungherese (inclusi nomi come Anima, Masfel e Korai Orom): sommata all’indubbio valore dell’opera, anche questa mi pare una ragione per supportare Rupaszov & co. e mettersi alla ricerca di questo album, facilmente reperibile per corrispondenza dal sito web dell’etichetta stessa.



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Mauro Ranchicchio

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