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TRETTIOÅRIGA KRIGET |
Efter efter |
Mellotronen |
2011 |
SVE |
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Quante volte i grandi del passato si sono resi ridicoli cercando di rinnovare il proprio repertorio senza però saper interpretare i nuovi tempi? Quante volte invece si sono ripiegati nostalgicamente sul proprio passato senza riuscirne peraltro a replicarne la bellezza, riducendosi a pallidi spettri di sé stessi? I Trettioåriga Kriget, gruppo storico della meravigliosa scena Progg svedese che vede la luce nel lontano 1970, sfuggono clamorosamente a questa specie di maledizione perché il loro sound con il tempo si è semplicemente affinato e questo album sta a quelli dei tempi d’oro alla stessa maniera in cui il volto di un giovane adulto mostra la maturazione dei propri tratti adolescenziali, che rimangono sempre riconoscibili, ma allo stesso tempo appaiono trasformati dagli anni. Di questo ce ne eravamo resi conto già con “Elden av år”, l’album che nel 2003, accompagnato dalla forte acclamazione del pubblico e della critica, ne aveva sancito il grande ritorno dopo anni di oblio, e le impressioni si sono poi piacevolmente consolidate grazie ad un grande disco come “I början och slutet”, pubblicato nel 2007. Con questo nuovo “Efter Efter” la band di Saltsjöbaden (paesino sul Baltico, a sud di Stoccolma) non fa altro che rafforzare i risultati raggiunti con il fortunato predecessore, dando lezione di grande classe e maturità attraverso un’opera dalle forme precise e dotata di grande fascino che va a chiudere in maniera perfetta il cerchio di una originale trilogia autobiografica. Forse il loro segreto sta in una formazione che negli anni è rimasta solidamente invariata (compreso Olle Thörnvall che da sempre si occupa unicamente di scrivere i testi), a partire dall’omonimo esordio discografico del 1974 fino a culminare con questo nuovo lavoro, con l’unico aggiustamento dato dall’inserimento di Mats Lindberg alle tastiere (ruolo che in passato era stato brillantemente coperto dal batterista Dag Lundquist), comparso per la prima volta nella discografia della band nel 1979, in occasione del singolo “Rockgift/Hej På Er”. Ovviamente l’inserimento di un tastierista di ruolo ha portato degli indiscussi vantaggi, permettendo di amplificare maggiormente la dualità che ha sempre contraddistinto il sound di questa band ruvido e oscuro da una parte e incredibilmente seducente e vellutato dall’altra, grazie alle generose cascate di Mellotron inserite ad arte a smussare le asperità. I riferimenti migliori che possa trovare sono proprio quelli che guardano al passato del gruppo che ha sempre dimostrato di avere un proprio carattere, anche se i Trettioåriga Kriget di oggi, lo ho detto subito all’inizio, sono più maturi. Per poterli descrivere potrei sicuramente tirare in ballo King Crimson e VdGG, irrobustiti da una matrice hard rock che con il tempo si è fatta però sempre più garbata, senza dimenticare un’attitudine tipicamente svedese che non sfuggirà sicuramente all’orecchio attento degli appassionati (ascoltate ad esempio “The Dance”, con quelle cadenze che vagamente segnano quasi il passo di un gånglåt). L’incisività del passato si sublima in un sound solido ma estremamente pulito e profondo, con elementi sinfonici eleganti e mai appariscenti. Inoltre bisogna sottolineare che si gioca molto sugli elementi melodici che ricorrono nell’arco delle canzoni, rimanendo profondamente impressi nell’animo di chi ascolta. La musica è sì potente ma proprio quando all’improvviso partono i temi musicali topici si raggiungono grandi picchi di emotività, e qui sta il punto di forza di questo album: la capacità di regalare emozioni. Chi riesce a rimanere indifferente al fascino di “Barnet”, un pezzo che contiene certamente soluzioni complesse al suo interno, ma che riesce a togliere il fiato grazie ad una singola frase melodica che si insinua piano piano all’inizio del brano per poi raggiungere livelli maggiori di intensità emotiva? Cosa non riesce a fare un tappeto di Mellotron in una ballad notturna e sentimentale come “Tavlan”? Attenzione perché questo album potrebbe sembrarvi ad un primo ascolto fin troppo semplice da decifrare, ma fidatevi, non è proprio così perché niente in realtà è lasciato al caso e se non vi soffermerete alla piacevolezza superficiale di un ascolto epidermico (e questo album è abbastanza diretto da piacere anche senza impegnarsi più di tanto) scoprirete che la musica è bella in tutto il suo spessore. Un signor album per una grande band che piacerà particolarmente a chi ama il Prog svedese.
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Jessica Attene
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