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I TRENI ALL'ALBA |
2011 A.D. (l’apocalisse della porta accanto) |
INRI |
2011 |
ITA |
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Torna dopo tre anni questo quartetto dal nome parecchio evocativo, perfettamente in linea con l’immagine dei gruppi italiani prog degli anni ’70 ma con un’attitudine tanto originale quanto orecchiabile. I musicisti, mezzi piemontesi e mezzi valdostani, erano stati autori di un ottimo esordio che denotava un’eccellente produzione, con suoni nitidi, definiti ed un mixaggio perfetto. Nonostante ciò, l’album è passato totalmente inosservato. Incuranti di tutto, i quattro continuano a proporre la loro suggestiva (e a volte surreale) formula prevalentemente acustica ed energica, accasandosi con la giovane etichetta torinese INRI dei fratelli Pavanello (entrambi componenti dei Linea 77). Anche stavolta l’art-work è curato dal pittore Domenico Sorrenti, che ben armonizza le immagini ed i colori con la musica proposta. Rispetto al primo, quest’ultimo lavoro risulta meno orchestrale e più diretto, più asciutto, accrescendo l’attitudine viscerale tipica dell’esecuzione live. Non a caso non ci sono più tutti gli ospiti presenti nella precedente pubblicazione, ma solo il bassista Francesco Vittori, presente in tutti i brani, e Ramon Moro al filicorno in “L’arte della guerra”. I contenuti musicali sono molto simili al passato e probabilmente viene meno l’effetto sorpresa caratterizzante le opere prime, ma è pur vero che stavolta ci si sofferma di più su una ricerca nel mondo del folk, soprattutto in quello del Meridione italiano. In ciò che vuole essere un particolarissimo concept strumentale, in cui tramite le note si narra un’apocalisse che coinvolge i passaggi della quotidianità, già “Intro” mostra le due chitarre acustiche di Daniele Pierini e Paolo Carlotto che si intrecciano in maniera sempre più complessa, tra scale e svisate slide, con una timbrica nitida e calorosa. Gli onori della scena vengono ceduti ad “Attila”, in cui il pianoforte di Sabino Pace crea un feeling romantico e fiero, con Felice Sciscioli che modifica da un momento all’altro il proprio drumming a secondo dei momenti, i quali diventano ben presto nervosi. Proprio come se si trattasse di un unico brano, immediatamente ci si immette nel già citato “L’arte della guerra” (primo video della band, tra l’altro), il cui inizio sembra una versione acustica di “Acid Rain” dei Liquid Tension Experiment. I trilli tipicamente meridionali e l’ingresso del filicorno creano una tanto epica quanto struggente colonna sonora a la Morricone, centrando in pieno l’intento dichiarato fin dal principio della carriera, cioè ricreare delle sensazioni cinematografiche. Su questa linea bisogna assolutamente seguire “Il demone”, ma anche “Tempi moderni?”, collocata su un ideale lato b dell’album, in cui iniziano a sentirsi le chitarre elettriche. Tutte tracks in cui le suggestioni diventano protagoniste grazie a delle ritmiche d’alta scuola. Dicendo che “Distrettotredici” è un altro tributo (dopo quello sulla prima release) al regista John Carpenter, la conclusiva “Streghe” è emblema di quello studio del folclore meridionale di cui si parlava prima, con echi elettrici che creano atmosfere dal sapore antico, nonostante le sfuriate finali, che sembrano si siano accumulate durante il trascorrere di tutto il lavoro. Notevoli le scale di pianoforte che scorrono velocissime su basi e timbriche davvero vicine al post-hardcore. Anche questo album dura circa trentacinque minuti (lo faranno apposta?) ed anche qui tutti i pezzi non danno mai l’idea di essere raffazzonati o troppo stringati; dicono all’ascoltatore tutto quanto c’è da dire, riuscendo persino a dilatare l’impressione che si ha del tempo (elemento comunque maggiormente presente sul primo “Folk destroyers”). Insomma, questa novella apocalisse è uno degli album più belli del 2011, che a sua volta è stato portatore di tante ottime uscite. Grande conferma per una band italiana che è diventata senza alcun dubbio una garanzia di qualità e coerenza
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Michele Merenda
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