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LA THEORIE DES CORDES |
Singes electriques |
Vocation Records |
2013 |
FRA |
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Secondo album per questo gruppo francese stravagante e che è riuscito a riempire ben due cd con circa cento minuti di musica strumentale sanguigna e carica di fantasia. Si tratta di un quartetto che suona con abilità e meraviglioso trasporto; le note scorrono via sinuose, attraenti e coinvolgono con grande facilità l’ascoltatore.
Gli strumenti dialogano con una fluidità impressionante; a volte viaggiano insieme in perfetta sincronia in cavalcate viscerali e piene di spontaneità, altre volte, invece, piano, sax o chitarra si alternano alla fase solistica, mentre gli altri sono più in sottofondo ad accompagnare in maniera magistrale. L’approccio zappiano con cui “L’oeuf schizo / part 1” apre il disco è solo uno dei tanti temi forti di un album ricchissimo di spunti eccellenti. L’indirizzo iniziale sembra quello di un jazz-rock spumeggiante erede di opere ariose e monumentali quali “Waka Jawaka” e “The Grand Wazoo”. E, in effetti, tra le caratteristiche principali dell’album si può proprio notare che gli elementi jazzistici sono spesso preponderanti e pronti a mescolarsi con quelli più vicini al progressive; così, si può notare un parallelismo con i connazionali One Shot in “Le proces du temps”, specie per le evoluzioni chitarristiche che ricordano molto il modo di suonare di James MacGaw, mentre tratti di Mahavishnu Orchestra, invece, sono avvertibili nella prima parte di “I.T.” (poi man mano il brano sembra farsi più mediterraneo). E più passano i minuti più si viene travolti dall’energia della band, capace ancora di virare verso una fusion methenyana, di presentare contaminazioni briose e quasi à la Minimum Vital, di strizzare l’occhio a Allan Holdsworth e ai tardi Soft Machine e si possono persino intravedere sprazzi psichedelici, come all’inizio di “Paysages urbains” che apre il secondo cd e che poi vira verso un jazz-rock a momenti chitarristico e graffiante e poi con piano e sax ad inseguirsi. Tutte le composizioni sono ad ampio respiro e nonostante i lunghi minutaggi e una durata totale ben ampia dell’intero lavoro non si avvertono in nessun momento né sensazioni di prolissità, né attimi di stanchezza. A questo punto la domanda sorge spontanea: quanti si accorgeranno di questo stupendo doppio cd? Il rischio che “Singes electriques” rimanga praticamente inosservato (un po’ come il disco d’esordio della band), purtroppo, è molto elevato. Sarebbe davvero un peccato ignorarlo, perché è un album bellissimo, che può piacere a tanti, suonato alla grande ed in maniera tale che si evita che la tecnica scavalchi nettamente la passione. Infatti i temi in esso contenuti non solo sono eseguiti egregiamente, ma riescono anche a catturare con immediatezza, a lasciare segni forti già al primo ascolto (e con i riascolti l’entusiasmo cresce e si notano ulteriori finezze). Non resta che fare i più vivi complimenti a Mathieu Torres (chitarra), Stephanie Artaud (piano), Julien Langlois (sax), Fah Pigny (batteria) e Alexandre Henri (basso) per il magnifico lavoro fatto con “Singes electriques”, davvero un piccolo prodigio di jazz-rock progressivo moderno.
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Peppe Di Spirito
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