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DARREL TREECE-BIRCH |
No more time |
Melodic Revolution Records |
2016 |
UK |
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Darrel Treece-Birch è un musicista britannico con un ventennio di esperienza alle spalle. Venuto recentemente alla ribalta delle cronache prog per merito del suo gruppo Nth Ascension, prova ora la carta solista con “No more times”. Per l’occasione, pur essendo protagonista principale impegnandosi alle tastiere, alla voce, al basso, al mandolino e alla batteria, chiama comunque a raccolta i suoi colleghi della band citata e altri musicisti con cui condivide altre avventure. Darrel punta su un concept album incentrato sull’acqua, considerata principale fonte di vita del pianeta Terra, ma anche metafora per descrivere più in generale l’uomo e le sue avventure quotidiane, tra sogni, speranze e difficoltà. Dopo un’introduzione di atmosfera (“Nexus pt 1”), si entra nel vivo del lavoro con “Earthbound”, un breve brano strumentale che dà subito la direzione del sound, incentrato su un progressive pomposo, a tratti aggressivo e nel complesso molto solenne, sulla scia dei primi album di Arjen Lucassen a nome Ayreon. Visto l’inizio, ci si potrebbe aspettare queste coordinate per il resto del disco, che invece diventa abbastanza variegato e dinamico e quasi inevitabilmente emergono degli alti e bassi che fanno alternare i livelli di coinvolgimento. Diciamo che i momenti più emozionanti sono quelli dove vengono a galla eleganti frammenti vagamente classicheggianti, come l’ottima “Requiem pro caris”, dove compare un magico violino e forse il miglior momento del cd, “Mother (Olive’s song)”, quasi new-age con le tastiere protagoniste assolute, e “Music of the spheres”, rock sinfonico di buona qualità, che può ricordare la proposta dei connazionali Magenta (anche per la presenza di una suadente voce femminile). Meno convincenti, invece, le ballad sonnolente (“Hold on”, “Twilight”) e le derive pop di una (troppo) lunga title-track, situazioni in cui emerge il lato più melodico e zuccheroso di Treece-Birch, che sembra un po’ scadere nella banalità. Buoni livelli per “Riding the waves”, pezzo up-tempo ben costruito ed eseguito, per i nuovi spunti ambientali di “Nexus pt 2” e “Nexus pt 3”, per i connotati heavy di “Freedom paradigm” scanditi da una chitarra aspra e un riuscito riff di base metal e per i richiami floydiani di “The river dream”, di “Legacy” e, soprattutto, della conclusiva “Return to the Nexus”, dove il guitar-playing marcatamente à la Gilmour offre spunti di grande brillantezza sonora.
Guardando “No more time” nella sua interezza il giudizio è sostanzialmente positivo, pur con qualche evidente limite che non può far propendere verso voti alti. Non ci sono scintille vere e proprie, né possiamo dire che emerge originalità, ma se vi va di ascoltare poco più di un’ora di un prodotto godibile con le caratteristiche che abbiamo descritto non dovreste restare delusi.
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Peppe Di Spirito
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