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La pubblicazione del terzo album del Tempio delle Clessidre è stata accompagnata da alcuni commenti riguardanti il cambio di rotta musicale attuato dal gruppo genovese. Non mi sorprende, sono certo che nell'immaginario dell’ascoltatore medio di progressive rock il Tempio sia considerato un fiero prosecutore della tradizione italiana più pura, complici la presenza alla voce per un certo periodo di Lupo Galifi e due album volti a esplorare un archetipo musicale ben definito, anche sotto l'aspetto visivo/grafico e quello testuale. Personalmente, ritengo che il Tempio abbia sempre avuto un suo stile, non imitando pedissequamente il prog italiano storico ed evitando quindi di chiudersi dentro una prigione dorata. Ritengo che quella di cambiare sia stata una buona idea, anche se alla resa dei conti si tratta principalmente di un aggiornamento di suoni e di immagine. Basta ascoltare "La parola magica" per rendersi conto che il sound della band si è fatto più asciutto, più rock e meno carico di enfasi. Eppure, il prog italiano è sempre lì, anche se rimasticato e modernizzato, con le sue atmosfere e la sua varietà compositiva, i chiaroscuri musicali ed il testo ricercato. Un po' diverso è il discorso per "Come nelle favole", un brano di hard rock progressivo epico e melodico che fa delle trame vocali il suo punto di forza, e per "Dentro la mia mente", sospeso tra atmosfere cantautoriali, metal e post rock, con un testo che si interroga emblematicamente su come scrivere il testo di una "canzone dallo stile rock progressive". Atmosfere particolari anche in "Manitou", lento ed etereo brano melodico dominato dalla voce e dalle percussioni di Mattias Olsson, mentre "Spettro del palco" e "Prospettive" recuperano la dimensione acustica ed il lato folk della band (soprattutto la prima, con il suo andamento da ballata medievale), mescolati abilmente con il rock ed il metal. Molto "italiana" "Nuova alchimia", sospesa tra progressive e hard rock, così come la lunga "La spirale del vento", che nei suoi nove minuti scarsi riassume alla perfezione lo stile del Tempio delle clessidre, tra momenti acustici, rock, melodia e intrecci strumentali suonati con abilità. Discorso a parte merita la conclusiva "Gnaffè", una e teatrale e bizzarra ballata dalle atmosfere acustiche-medievali accompagnata da un testo altrettanto bizzarro, molto scollegata del resto dell'album (difatti è una bonus-track). "il-lūdĕre" potrebbe essere un disco di transizione, quasi un modo di sondare il terreno per poi osare ancora di più. Si tratta nel complesso di un discreto album di rock con buoni momenti progressivi, anche se non tutte le tracce hanno lo stesso mordente, orientato ad un suono più chitarristico che in passato e avente la voce come principale protagonista. Chi ha apprezzato il primo album omonimo e "Alienatura" potrebbe storcere il naso, in ogni caso io consiglio uno sforzo nell'ascolto, in modo tale da ridurre i preconcetti e apprezzare al meglio il lavoro realizzato.
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