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TROJKA I speilvendthet Apollon Records 2017 NOR

Questa copertina, non proprio bella a vedersi, ed il monicker che potrebbe nascondere qualche simpatia per certe correnti politiche di sinistra mi hanno subito fatto pensare alla ristampa di un vecchio gruppo svedese anni Settanta, uno di quei dischi cantati malissimo in cui le tematiche sociali prevalgono nettamente sulla forma musicale. Premessa non proprio allettante questa ma dopotutto poteva valere la pena provare per vedere se per lo meno uscisse fuori qualcosa di nuovo e totalmente imprevisto. E in effetti qualcosa di nuovo ed imprevisto è saltato fuori.
Niente recuperi ma un trio nuovo di zecca di nazionalità norvegese, con musicisti che vi presento subito e rispondono al nome di Simon Ulvenes Kverneng al basso e alla voce, Gjert Hermansen alla batteria, alle percussioni e alla voce e August Rise alle tastiere e alla voce. Il gruppo era attivo da almeno dieci anni ma l'esordio giunge solo ora, preceduto dalla pubblicazione di due singoli ben accolti dal pubblico, così dicono. Lo stile è qualcosa di eclettico e forgiato su strane mescolanze, non corrispondente, per fortuna, alle false aspettative che mi ero fatta. L'approccio è senza dubbio minimale ma mai esageratamente scarno, le sonorità aleggiano a cavallo fra gli anni Settanta ed i primi Ottanta, con forme che sono quelle del jazz rock, della psichedelia, dell'elettronica e della fusion, talvolta con elementi vagamente new wave o addirittura con qualche sentore di disco dance e mi riferisco in questo caso parti a “Et Spill”, dal forte appeal tardi Settanta che non stenterete a riconoscere. Questi accostamenti non sono assolutamente da temere ma anzi, assicurano un viaggio piacevole e leggero, attraverso un disco disimpegnato, bizzarro per certi versi, e sicuramente molto particolare.
L'incipit, “Tsarens Tårer”, è oltremodo esotico e possiede qualcosa di arabeggiante, con registri di archi che sembrano in qualche modo fare il verso alla celeberrima “Kashmir”. Il brano, strumentale, si perde in piacevoli loop dai riflessi elettronici con impasti soft fusion disegnati in prevalenza dall'onnipresente piano elettrico. La title track è dominata da un cantato molto flebile e presenta un piglio pop, con screziature new wave che lo rendono scorrevolissimo ma anche abbastanza regolare e prevedibile, se non fosse per l'elegante piano elettrico in grado di creare piacevoli varianti e per un finale che vira a sorpresa e con discrezione verso il jazz con tanto di fiati, a dimostrazione che qui non è proprio tutto come sembra a prima vista.
“Drømmeløs” si muove su tonalità ovattate e scivola morbidamente con le sue contaminazioni jazz ed elettroniche, disegnando paesaggi spenti e malinconici. “Mat For Tanke” si apre col basso slap che cerca ritmiche movimentate in uno stile che effettivamente mi fa pensare a certo prog fusion nordico degli anni Settanta con elementi soft folk che si concretizzano grazie a un flauto notturno. Al centro di colloca “Trojka”, questa volta uno strumentale, di matrice fusion, che mi suggerisce che forse l’assenza di un cantato, in verità poco caratterizzante e un po’ anonimo, potrebbe aprire nuove possibilità per il gruppo. “Litt Glede” è un altro pezzo molto soft con delicati elementi sinfonici di matrice nordica mentre “Alltid en Gåte” è un idillio acustico con la chitarra piacevolmente arpeggiata e dai flebili riflessi elettronici. Quest’ultimo e l'unico pezzo forse in cui compare una qualche forma di chitarra (e non ho idea di chi la suoni) mentre per il resto saranno le tastiere, spesso sotto forma di piano elettrico, ad accarezzare in modo più persistente le vostre orecchie.
Tutti i pezzi di questo album, 9 in tutto, sono molto brevi, con un picco di 8 minuti raggiunto dalla conclusiva “Til Neste Farvel”. Si tratta ancora una volta di un brano flebile e dalle atmosfere smorzate, con interessanti accelerazioni fusion ed insolite variazioni sinfoniche.
Sono passati appena 41 minuti al termine del disco e la musica non si è rivelata certamente esaltante. Non si tratta di un gruppo che è in grado di travolgerci con le sue trovate tecniche o di affascinarci per le sue trovate melodiche ma qualcosa in grado di incuriosire e spiazzare, qualcosa di ammiccante se vogliamo, che si fa voler bene per i suoi ingredienti insolitamente mescolati fra loro. Può valere la pena provare l’ascolto; se non ne uscirete deliziati ci sono buone probabilità che la cosa comunque vi diverta. Da qui in poi credo che il gruppo abbia ampi margini per potenziare la sua formula.



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Jessica Attene

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