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LA THEORIE DES CORDES |
Premières vibrations |
Musea Records |
2011 |
FRA |
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La “Teoria delle Stringhe (o delle Corde)” – questo il significato del moniker francese – è una teoria che tenta di connettere la meccanica quantistica con la relatività Einsteniana, cercando di creare a sua volta una nuova teoria del Tutto e attribuendo alle particelle delle proprietà non solo corpuscolari ma anche ondulatorie. Per la cronaca, tale teoria nasce nel 1968 da un un'intuizione del fisico italiano Gabriele Veneziano, che poi avrebbe portato altri studiosi ad importanti successi fino ad ottenere tramite le vibrazioni una particella chiamata “gravitone”. Tornando a focalizzare il discorso sulla band transalpina, il nucleo di essa si era già assestato per un periodo come duo chitarra/piano, passando per episodi prog/grunge/post-punk a nome The Post Modern Watchers, prima di approdare a qualcosa di molto più impegnato nel 2009. L’intento degli autori è quello di esplorare l’universo, dall’infinitamente grande all’infinitamente piccolo, con delle vere e proprie riflessioni strumentali accompagnate ciascuna da lunghe note di copertina scritte in lingua madre. La perizia tecnica molto elevata permette di tradurre in musica le proprie sensazioni, anche affrontando argomenti abbastanza seri di tipo assolutamente esistenzialista. “Supernova” è un misto di space psichedelico tramite cui ci si aggira straniti nel buio del cosmo alla ricerca di qualche stella non ben definita, sfruttando alcune dissonanze, improvvisi passaggi arrovellati in stile prog-metal ed altri che consistono in allegri riferimenti popolari quasi balcanici. Buona parte del “vagare” è affidato alle sei corde di Mathieu Torres, sul cui sfondo viene creata una importante profondità sonoragrazie al pianoforte di Stéphanie Artaud. Pianoforte maggiormente protagonista su “Rêves Prémonitoires”, jazzata e latina, da nottata nostalgica in qualche quartiere pittoresco della capitale francese, che vede anche la presenza del sassofonista Maxime Jaslier, il quale – oltre a suonare anche alcune linee di basso nell’album – mette in mostra degli ottimi picchi di intensità espressiva, concedendosi nel finale un convincente duetto con il chitarrista. Molto leggera e precisa la batteria di Tadzio Gottberg, anch’egli a proprio agio nei vari cambiamenti ritmici repentini;mutamenti di metrica che comunque sembrano non scomporre quasi mai la quiete contemplativa dello spazio profondo di cui pare essere permeato l’intero album. “D'Hêtre à Etre” sfiora i dieci minuti, giocata molto sul pianoforte e le linee soliste di basso, interrotte da una chitarra più dura che poi lascia nuovamente respirare; dopo circa cinque minuti si comincia a passare alle digressioni soliste, sempre più intricate e che spaziano tra vari riferimenti, compresa la musica classica. Gli otto minuti e mezzo di “Singes” sono nella parte inziale quasi ipnotici, prima di avere una fase di esplosione in cui ci si ferma poco prima della detonazione; da quel punto in poi, la chitarra di Torres volteggia in lungo e in largo senza alcun ostacolo. L’allegria in stile balcanico riprende tramite “Le Bas-Art de l'Epouvante”, che poi va avanti con naturalezza tra ritmi di natura andalusa, favoriti dai controtempi di Gottberg e dal solito instancabile Torres (che sfocia anche nel metal), in cui si inserisce sempre la sapiente Artaud col suo pianoforte, come dimostra l’accademico passaggio che precede la chiusura. “Berceuse Moderne” presenta un po’ tutti gli elementi fin qui ascoltati, se non fosse per gli interessanti assoli di chitarra e anche di pianoforte, che non si può fare a meno di seguire, prima di arrivare agli oltre nove minuti della conclusiva “Renaissance”. Questa si dimostra ancora più onirica dei precedenti brani, diventando sempre più complessa e costringendo il batterista a fare davvero gli straordinari. La psichedelia e il virtuosismo la fanno da padroni; Torres sembra quasi che simuli il botta e risposta tra varie chitarre, prima di sfogarsi con un’altra fuga metallica (che però dura decisamente troppo), commentata da un pianoforte solenne. Forse questo album ha il difetto di apparire come un’unica composizione che si protrae per quasi un’ora. Le timbriche rimangono sempre le medesime e anche l’andamento, come già detto, appare abbastanza uniforme. Questo potrebbe portare qualche ascoltatore a stancarsi dopo i primi tre pezzi, ma ciò non toglie l’assoluta bontà della proposta e la bravura dei musicisti coinvolti, che sembrano capaci di poter dare vita a qualcosa di ancora più ambizioso. Al di là di tutto, un bell’esordio.
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Michele Merenda
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