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TOMORROW'S EVE |
Mirror of creation III - Project Ikaros |
Dr. Music Records |
2018 |
GER |
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La prog-metal band teutonica torna dopo ben dieci anni dal suo ultimo lavoro, riprendendo la saga cominciata nel 2003 ed interrotta col secondo capitolo tre anni dopo, quando subentrò dietro il microfono Martin LeMar. Quest’ultimo, abituato com’è a cantare sulle ritmiche assurde dei connazionali techno-trash metal Mekong Delta, si destreggia più che bene su tonalità mai acute (come invece fanno tanti suoi colleghi) e che allo stesso tempo mettono in luce sia versatilità che potenza vocale. Il suo è uno stile da accostare a quello di Russell Allen o Jørn Lande, le cui rispettive band – Symphony X ed Ark – rientrano a loro volta tra i riferimenti di quest’album. Per ironia, proprio dalle due compagini appena citate arrivano i componenti dell’attuale sezione ritmica, rispettivamente il bassista Mike LePond ed il batterista John Macaluso, ancora più noto per aver collaborato con Yngwie J. Malmsteen (peccato che nessuno ricordi “Groove this!!!”, l’unico album strumentale a nome Conspiracy suonato assieme ad Anthony Bambino e Fabrizio V. Zee Grossi). Entrambi svolgono perfettamente il proprio lavoro, in un contesto assolutamente “metallico” e articolato, basato prevalentemente sull’impatto ritmico e non troppo sugli assoli. Questa è una pecca, perché non si concedono all’ascoltatore momenti che possano considerarsi memorabili. Tra i due componenti originari, Rainer Grund e Oliver Schwickert, quest’ultimo si mette molto più in mostra grazie all’uso delle tastiere in stile quasi Dream Theater fin dall’iniziale “Welcome to the Show”, in cui si invita l’ascoltatore ad essere testimone del dramma imminente. Ci sono pezzi in cui la durezza viene alternata come se niente fosse ad aperture melodiche molto orecchiabili, tipo “Morpheus”, in cui la paura di dormire a causa degli incubi viene scandita da chitarre pesanti tipo primi Grand Magus e passaggi strumentali che ricordano i Liquid Tension Experiment meno complicati, prima di concedersi alle melodie facili di cui sopra. Ma anche “Imago”, dalle tematiche molto cupe e ossessive, che in copertina viene però invertita di posto. Si tratta infatti del quarto pezzo e non del quinto. Lo scambio avviene con “The System”, tra durezza e pianoforte. Ritmicamente parlando, uno dei pezzi maggiormente complessi è “Bread and Circuses”, estrapolato da quel panem et circenses con cui Giovenale riassumeva gli elementi che occorreva fornire alla plebe affinché l’ordine politico potesse portare avanti la propria demagogia. Un brano in cui LePond e Macaluso non si risparmiano, con le dita di Schwickert che potrebbero ricordare ancora una volta le evoluzione dei riff di casa ‘Theater ma anche di band più nuove tipo gli Octavision. Molto gradevole l’inizio misterioso di “Law and Order”, tra arpeggi, linee di basso e pianoforte; strofe e ritornello sono quasi radiofonici, LeMar sembra un Bon Jovi più drammatico e sognante, prima che il groviglio dei riff intervenga qua e là per creare scompiglio. Da segnalare che il testo di “A Dream Within a Dream” è del celeberrimo scrittore inglese E.A. Poe. Per il resto, l’album va avanti per un totale di undici brani che oramai hanno la medesima matrice, e alla fine – nonostante si acceda al programma incriminato con i relativi codici di accesso e si rischi di essere uccisi – ci si continuerà a chiedere se si stia vivendo davvero o ci si trovi dentro un sogno. Perché alla fine suona una sveglia… Da consigliare agli amanti del prog-metal che apprezzano l’ascolto di elementi che a loro volta rimandino immediatamente ad altri già sentiti, anche se elaborati in maniera tale che l’identificazione non sia poi così immediata. Una storia comunque strutturata abbastanza bene.
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Michele Merenda
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