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EL TUBO ELASTICO Impala autoprod. 2018 SPA

Nel 2015 il quartetto di Jerez de la Frontera (Cadice) aveva esordito con un album omonimo che lasciava intravedere discrete potenzialità, mischiando ambientazioni post-rock con ritmiche jazz-rock, ricreando così atmosfere psichedeliche di una certa complessità. Ma non essendoci però assoli significativi – nonostante la presenza di due chitarre – e con un andamento mai troppo sostenuto, c’era da temere che continuando su quella strada la proposta potesse alla lunga diventare soporifera. I nostri devono evidentemente aver riflettuto su questo rischio eventuale, perché la nuova proposta strumentale suona decisamente più energica e convincente. Anche stavolta non ci sono chissà quali assoli memorabili ma solo vari accenni, tutto però diventa funzionale per delle composizioni che si dimostrano varie e soprattutto vitali. La batteria di Alfonso Romero ed il basso di Carlos Cabrera sono di chiara impostazione jazz/fusion e i due musicisti si producono in acrobazie sempre funzionali alla stesura dei brani. L’iniziale “Ingrávido” è aperta dalle chitarre visionarie di Daniel González e Vizen Rivas, per un effetto che anche nella continuazione della traccia ricorda i turchi Siddharta, autori di un (purtroppo) unico e notevole album. Nove minuti e mezzo dove le ritmiche e i suoni si vanno incastrando come un trip cosmico (un po’ tutti loro si occupano di tastiere e programmazioni), in cui sporadicamente le chitarre intervengono in fase di assolo per spezzare un’eventuale monotonia. Attacco quasi da math-rock su “Antihéroe”, smorzato immediatamente da una rarefazione improvvisa in cui risuona una chitarra acustica solitaria, presto affiancata dal riverbero della sua omologa elettrica che ne fa una specie di controcanto. Dopo un paio di minuti il sound si irrobustisce tra rullate di batteria e note altamente impegnative di basso; anche qui la durata è considerevole, si sfiorano i nove minuti, ma più si va avanti e più i toni diventano solenni, come se la cultura iberica venisse intrisa di acido lisergico.
Uno dei pezzi forti è “Turritopsis nutricula”, reso ancora più complesso dal Chapman stick di Guillermo Cides, assieme alla narrazione in lontananza di Tom Pannell. Sembrerebbe una versione meno fredda degli Stick Men, con tanto di tastiere che fanno il loro piacevole ingresso tra i giochi ritmici e un bell’assolo di chitarra dal retrogusto ovviamente ispanico. I dodici minuti e mezzo di “El acelerador de picotas” sono divisi in due parti, “Ignición” e “Colisión”, suddivise dai tempi spezzati del basso; la prima è sicuramente vicina a compagini come i belgi Quantum Fantay, i finlandesi Hidria Spacefolk e magari anche agli Øresund Space Collective – tutti debitori degli Ozric Tentacles –, mentre la seconda, dopo un momento di quiete, viaggia verso la collisione finale. Un viaggio space che continua su “La avispoteca”, dove le linee di basso si fondono perfettamente con le percussioni varie dell’ultimo ospite Ant Romero. I vari tasselli che compongono il mosaico ritmico lungo tutto l’album fanno pensare spesso ai King Crimson dagli anni ’80 in poi, fattore che a un certo punto diventa evidente in “Impala formidable”, che dopo arpeggi enfatici e loop vari sfocia in un chiarissimo riferimento a “Lark’s Tongue in Aspic” (comunque meno abrasivo), aumentando così il livello esponenziale di intensità della composizione.
“Impala” è un ritorno sicuramente positivo, che mette il quartetto ispanico sulla giusta strada. Se si saprà regalare qualche emozione anche a livello di partiture soliste, allora si potrebbe parlare di una gran bella realtà. Per adesso, il primo ascolto impressiona molto, poi rischia un po’ di calare. Comunque da sentire. Intanto, l’album può essere scaricato in versione digitale sul loro bandcamp e su richiesta verrà inviato in formato CD o in vinile traslucido da 180g. Ben ritrovati!



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Michele Merenda

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