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TROJKA Tre ut Apollon Records 2019 NOR

“Tre ut”: uscire. Uscire dai ranghi forse, dal conformismo, dagli schemi oppure magari dallo specchio del bagno, quello raffigurato nella copertina dell'esordio discografico “I speilvendthet” che nel 2017 deliziava i nostri padiglioni auricolari con percorsi musicali insoliti e a loro modo stuzzicanti. Il trio di Bergen, composto oggi come allora da Simon Ulvenes Kverneng al basso e alla voce, Gjert Hermansen alla batteria e alla voce e August Rise alle tastiere, ci presenta dieci nuovi brani che rispecchiano abbastanza fedelmente quanto avevamo avuto modo di assaporare in passato.
Sono tanti gli elementi in gioco che vengono assemblati in un tessuto scarno e minimale e fatti scivolare su trame ritmiche dall'andamento spesso pigro, evitando impatti violenti, soluzioni forti e scossoni di ogni genere. Tematiche jazz rock talvolta dal piacevole retrogusto Canterburyano, impasti psichedelici decisi ed appiccicosi, piacevoli inflessioni sinfoniche, incursioni di stampo new wave e colorazioni sonore che ci portano ai tardi anni Settanta fluiscono in modo naturale grazie ad un linguaggio musicale semplice, forse un tantino monotono, ma sicuramente comunicativo.
I pezzi sono tutti di durata molto contenuta con un picco che raggiunge a malapena i sette minuti costituito dalla title track, collocata in fondo alla lista. Proprio questo brano ci riserva graziosi diversivi sinfonici e soft jazz che coronano un percorso di ascolto agevole e non privo di piccole sorprese che parte da una disinvolta “President”, dalle tendenze fusion, passa per una centrale “Fly”, che ci intriga con i suoi inaspettati romanticismi e ci fa perdere fra i suoi synth corposi, e ci porta in fondo alla corsa con leggerezza. Un ampio uso del Fender Rhodes rende i tessuti tastieristici di questo album morbidi e suadenti mentre sono gli sgraziati impasti vocali l'elemento più incerto dell'opera, con una voce solista non dotata ma neanche sgradevole e assolutamente ben calata in un contesto musicale garage e spontaneo. Una piccola perla di sinfonicità è ancora rappresentata dalla breve “Grenseland” ma sono secondo me gli scenari strumentali, come quello lunare e psichedelico che apre la successiva “A Se”, a colpire di più: con le sue atmosfere nordiche dai colori sbiaditi, il brano rappresenta preludio ideale per il gran finale di “Tre Ut” al quale abbiamo poco sopra accennato.
Condito da giuste dosi di acidità e groove, con le sue soluzioni poco pretenziose e piacevolmente datate, questo disco, disponibile anche in vinile, si conferma come il successore naturale di “I speilvendthet”, replicandone abbastanza fedelmente pregi e difetti e offrendoci l'occasione per un nuovo godibile viaggio da affrontare in modo spensierato.



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Jessica Attene

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