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LA TEORIA DELLE NUVOLE |
Versus serendipità |
autoprod. |
2018 |
ITA |
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La Teoria delle Nuvole… Monicker identico al titolo di un romanzo pubblicato da Stéphane Audeguy nel 2009… Sarà un caso? Fatto sta che i sette musicisti valdostani – peraltro vincitori nel 2017 di “Arezzowave Valle d’Aosta” – definiscono la loro musica “alchemica”, con l’intento cioè di coniugare matematica e poesia. Tanto che il nome stesso del gruppo viene reso spesso con la formula t3 [n]e . Il loro nome, indipendentemente da tutto, fa venire in mente i gruppi del rock progressivo italiano tipici degli anni ’70, con le loro lunghe suite e i testi a effetto nonché ridondanti. Beh, forse quest’ultimo è probabilmente il punto di maggior contatto con quelle realtà, anche se purtroppo non è in tutto e per tutto un bel complimento. Ascoltata più volte, la voce di Andrea Bourbon ben si adatta comunque a quello che è un “mélange” quieto di vari generi, in cui si spazia dall’andamento jazzato al cantautorato italiano. L’iniziale “Tetris”, aperta dal misterioso arpeggio di chitarra, in prima battuta sembrava creare una vera e propria alienazione tra la parte cantata e quella musicale, anche se poi il sassofono di Battista De Gattis riesce a formare il collante chimico ideale tra quello che è (come da titolo) un incastro psichedelico. Sì, c’è anche la componente della psichedelia in questo esordio, che forse risulta l’elemento più interessante assieme al già citato sax di De Gattis, strumento che dona il colore adatto ad una proposta che non mette in mostra chissà quali solismi (se non nelle tracce di apertura) e che a volte nella proposizione dei testi rischia di scadere nel banale, un aspetto che sicuramente andrà curato per il futuro. Ma il senso di “galleggiamento” è comunque ricreato bene; un giusto equilibrio viene raggiunto in “Etera” (ovviamente, qui si parla di prostituzione), col suo funky jazz che parte prima lento e poi si scuote, terminando con una bella coda strumentale giocata su una scia tra chitarra e sassofono. “Repetita” ha un andamento ancora più quieto del solito e sarebbe stato bene se fosse stato esclusivamente strumentale, mentre la seguente “Jeffrey” si vivacizza a ritmo di funky, poi di volta in volta stemperata da dei rallentamenti sparsi qua e là. “Jezus” è un altro episodio molto placido, decisamente trascurabile soprattutto per il testo che suona volutamente “ingenuo”, seguito nuovamente da un momento più aggressivo, vale a dire la conclusiva “Fat Boy”. Si tratta di una composizione incentrata sulla tragedia del bombardamento nucleare di Hiroshima, che almeno nella prima parte risulta calzante per un film come “Apocalypse now”, scavalcando così i limiti storico-temporali, soprattutto perché fa venire in mente il luogo in cui si annidava il misterioso colonnello Kurtz (anche se il pezzo parla di un capitano). La seconda parte riprende lo scorrere della musica fin qui ascoltata; lasciando perdere le rime forzate, la coda conclusiva (in cui risalta ancora il sax) scivola piacevolmente, stavolta come la colonna sonora di qualche vecchio telefilm. Tenendo conto che qua ci sono coinvolti due chitarristi e che nella sezione ritmica (oltre ai canonici basso e batteria) risulta un percussionista vero e proprio, di sicuro si poteva fare di più. Questo esordio autoprodotto suona come un EP, a che per la sua lunghezza abbastanza contenuta. Meglio sicuramente così, perché in questo caso un minutaggio maggiore sarebbe risultato eccessivo. I ragazzi si dimostrano simpatici e con buone intenzioni, magari questo è solo il primo timido tentativo di partenza, in attesa del grande passo vero e proprio.
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Michele Merenda
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