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TERRAMISTA L’ultima Babilonia autoprod. 2020 ITA

Classe 1958, il chitarrista e compositore Giancarlo Spaggiari si sta facendo notare dal 2006 con un progetto orientato verso il progressive rock denominato Terramista. Vari musicisti si sono avvicendati nel corso degli anni al suo fianco e “L’ultima Babilonia” è solo l’ultimo di una serie di sette concept album autoprodotti fino ad oggi. Alla base tematiche un po’ pessimistiche, come degli atti di accusa verso l’uomo, che nella velocità con sui si muove ogni giorno si ritrova a perdere sempre più valori e a distaccarsi dalla natura. Per questo nuovo lavoro troviamo una formazione che, oltre al leader, vede altri elementi esperti (il cantante Gigi Bondi e il flautista Marco Bondi) e due molto più giovani (la cantante Alessandra Bonisoli e il clarinettista Valerio Arietti). Spaggiari suona anche mandolino, mandola, basso, tastiere e si occupa della programmazione delle percussioni.
Il brano di apertura “Umanità negata” ci porta subito nei fasti degli anni ’70, con intrecci elettrici ed acustici nella più classica tradizione del rock progressivo italiano, con echi di PFM, Quella Vecchia Locanda e Biglietto per l’Inferno. Alle sferzate della chitarra elettrica fanno da contraltare la delicatezza del flauto, l’ariosità di aperture di tastiere e le docili melodie vocali femminili. Canto maschile, invece, per il successivo “Anime vaganti”, inizialmente intriso di un romanticismo malinconico e poi indirizzato verso un hard rock acceso. Diciamo che le caratteristiche del disco sono già ben evidenti: è spesso la sanguigna chitarra elettrica a guidare, ma flauto, clarinetto e tastiere danno quegli spunti sinfonici che rendono molto dinamica la musica. “Maschere” e le due parti de “La città dell’uomo” sono composizioni a più ampio respiro, delle vere mini-suite tra gli otto e i dieci minuti e mezzo e permettono ancora di più quest’alternanza tra l’anima più rock e quella più ricercata. E se i classici del prog italiano si affacciano in continuazione, si può notare in più di una occasione anche qualche riferimento ai Jethro Tull. “Il volo degli angeli”, invece, è la traccia più breve; è un po’ più diretta e melodica, ma tutto sommato non si discosta stilisticamente dalle altre.
Andando ad analizzare più nel complesso la qualità del lavoro, ci sentiamo di dire che si tratta di un disco molto interessante da un punto di vista compositivo. I brani sono davvero ben costruiti e presentano dinamiche che non annoiano mai, facendo ben intendere che l’esperienza di Spaggiari è stata molto importante per la riuscita della musica. Si avverte, tuttavia, l’amatorialità del progetto, per suoni non sempre limpidi, per l’utilizzo della batteria elettronica e per le parti vocali che, come non di rado accade nel prog italiano, non sono il massimo.



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Peppe Di Spirito

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