|
TRITOP |
Rise of Kassandra |
autoprod. |
2023 |
ITA |
|
Non è un caso che si trovino notizie e recensioni di quest’album praticamente solo in siti e pubblicazioni nord-europei, in special modo tedeschi e olandesi. Il primo album di questa band romana sembra infatti fatto apposta per stuzzicare gusti Prog che difficilmente trovano terreno fertile nelle nostre lande italiche. Di solito non mi lascio andare a considerazioni Prog-populiste… ma viene davvero da pensare che se invece che vivere all’ombra del Colosseo questi musicisti provenissero da qualche brumosa cittadina norvegese avrebbero forse ottenuto maggior considerazione anche in patria. Diamo intanto un nome a questi musicisti; si tratta di Ivo Di Traglia (batteria), Pierfrancesco Di Pofi (piano, Hammond, synth, Mellotron), fondatori del gruppo, cui si sono poi aggiunti Francesco Caponera (chitarra), Jacopo Tuzi (basso) e Mattia Fagiolo (voce); tra gli ospiti menzionati in precedenza spicca invece il nome di Simone Cozzetto, autore egli stesso di alcuni album solistici. Le liriche sono opera di Iacopo Di Traglia. La musica che ci viene proposta nelle quattro tracce di “Rise of Kassandra” è decisamente legata a sonorità anni ’70, adeguatamente attualizzate, e questo potrà senza dubbio allarmare coloro che sono restii ad accettare un regressive senza troppe remore in mezzo agli anni ’20 del XXI secolo. Stante ciò, c’è comunque da dire che i cinque musicisti (cui se ne aggiungono altri in qualità di ospiti… tutti alla chitarra, peraltro) ci offrono 48 minuti di musica intensi, decisamente gradevoli e soprattutto ben concepiti e suonati. A me personalmente viene da pensare a Spock’s Beard, Kaipa, ai Gentle Giant più energici… o anche, per contro, ai Dream Theater più sinfonici. Non che si possa parlare di scopiazzature pedisseque, ma l’avvio strumentale della title track ci porta ad attenderci da un momento all’altro il cantato di Patrik Lundström dei Kaipa. Arriva invece la voce di Mattia Fagiolo che un po’ la ricorda pure… e non è certo un punto a sfavore per un album che, nel frattempo è partito in modo sfavillante, trascinandoci in un brano di 13 minuti dalle ritmiche brillanti, dalle melodie accattivanti ma comunque non semplicistiche. I due brani che seguono, più brevi nella loro durata, confermano quanto detto, trascinandoci in atmosfere più tipiche per una band mittel/nord europea. Stupisce forse la bella riuscita e la padronanza del genere da parte di una band che comunque è al suo esordio e che riesce a confezionare una musica ricca di attrattive, con ritmiche talvolta complesse, lunghe fasi strumentali, e comunque ben realizzata anche dal punto di vista tecnico. L’ultima traccia dell’album è “The Sacred Law of Retribution”, quasi 24 minuti di equilibrismi che iniziano sotto il segno dei Gentle Giant. La chitarra (e non è la prima volta) accenna a riff che strizzano l’occhio al folk nordico ma poi sono le rimiche potenti, i riff intricati e i grandi tappeti di tastiere (che quasi mai assurgono a ruoli da protagonista) a prendere campo. Un album divertente e sorprendente, come si diceva, una grande prova d’esordio che ci fa ben sperare per un futuro in cui il gruppo acquisti un pizzico di personalità in più, dato che le capacità non sembrano proprio mancare.
|
Alberto Nucci
|