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UBI MAIOR Incanti bio meccanici AMS Records 2015 ITA

Il progressive italiano si dimostra in ottima salute anche nel 2015 ed il terzo lavoro degli Ubi Maior, “Incanti bio meccanici” è qui a dimostrarlo. I precedenti, “Nostos” del 2004 e “Senza tempo” datato, invece, 2009, erano caratterizzati da un ottimo hard-prog sinfonico che riprendeva con buona personalità ed altrettanto gusto, le sonorità anni '70 rivestendole di un piacevole “abito” moderno con testi rigorosamente in italiano. La stabilità della line-up (quattro componenti su cinque presenti sin dall'esordio ci sono anche nel nuovo album, con la sola eccezione del chitarrista Stefano Mancarella sostituito da Marcella Arganese) ha inoltre un peso fondamentale, dando continuità al progetto e definendone l'ormai riconoscibile sound. Con il nuovo full length , inoltre, sembra che la band abbia deciso di “saltare il fosso” ed abbracciare più compiutamente la componente sinfonica senza dimenticare o, peggio, rinnegare le dinamiche “hard” degli esordi. “Incanti bio meccanici” è composto da solo 4 brani, legati dal sottile fil-rouge dato dal rapporto tra uomo e città (immaginarie) e prende liberamente spunto da opere di Calvino, Brecht e Weill, ringraziati per l'ispirazione nelle brevi note del booklet. A “Teodora”, la prima di due lunghe suite, l'onore di introdurci nel mondo Ubi Maior. Il violino di Mario Moi stempera gli interventi decisi e graffianti della nuova arrivata Marcella Arganese che squarcia, sovente, il tessuto creato dal duo Gorreri (basso) e Di Caprio (batteria). Notevoli e velocissimi i “solos” di Manzini con il suo importante set di tastiere. Ben gestiti i momenti più tranquilli, dettati da piano ed ancora violino. Da segnalare, con piacere, le doti canore di Moi che conferma che anche il prog italiano si sta dotando di ottimi vocalist (pensiamo agli “storici” Corvaglia o Baldini Tosi o ad i “nuovi” Pancaldi, Calandriello, Leone solo a titolo di esempio). La suite continua tra pieni e vuoti ed i 20 minuti scorrono via con piacere estremo ed in modo molto variegato con intrecci strumentali raffinati e una voce davvero notevole. “Lo specchio di mogano”, l'altra pièce de resistance, è situata invece a fine lavoro. L'inizio soffuso e d'atmosfera è tanto breve quanto emozionante con violino e sitar a ricamare dolci note. Il ritmo si fa incalzante per qualche attimo, poi ancora pause guidate dal violino, dal piano e dalla voce di Moi. Ottimamente calibrati gli interventi solistici della Arganese, talvolta “gilmouriana”, in altre occasioni più dura e spigolosa. Importante l'apporto di Manzini all'organo ed in genere con sonorità un poco vintage. Un breve intervento della tromba (ancora Moi) “colora” di ulteriori sfumature il pezzo. Finale tutto della sei corde di Marcella che ci regala un altro saggio delle sue notevoli doti. E nel mezzo? Nel mezzo la band mette due brani più brevi (13 e 9 minuti...) altrettanto validi. “Alchemico fiammingo” dall'inizio languido per poi fluire in un crescere di intensità. Ancora la nuova chitarrista alle prese con un bel “solo” e l'ugola di Moi a raggiungere vette importanti. Un intermezzo acustico, scandito da chitarra e violino, poi l'umore cambia ed il fare diviene più aggressivo. La presenza di Manzini è qui più consistente e l'apporto della sezione ritmica degna di nota. L'alternarsi di elettrico ed acustico segna poi la composizione ,ora più sinfonica che mai con grande dispiegamento di synth. “I cancelli del tempo”, ultimo brano in programma, si apre al new prog con svariate digressioni tastieristiche che dominano la prima parte, mentre l'elettrica della Arganese si affaccia nella seconda. Un brano riuscito pure questo. Abbiamo, per concludere, un'ora circa di validissimo progressive e la consapevolezza di avere riscoperto l'ennesimo bel progetto “made in Italy” che, colpevolmente, avevamo un poco dimenticato (non agevolati peraltro dalla poca “prolificità” musicale della band...). Speriamo che noi, come loro, si possa recuperare il tempo perduto augurandoci al più presto un seguito degno di “Incanti bio meccanici” che per ora ci godiamo appieno. E non è poco.



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Valentino Butti

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