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VAN DER GRAAF GENERATOR Present Virgin 2005 UK

È sottile, sottilissima, la spaccatura tra vita e morte. La fenditura è colmabile da lacrime, gioia, disperazione, smarrimento, dolore, panico, felicità e beatitudine. Resterà, comunque, una cicatrice più o meno profonda. Quel segno particolare che distingue il viso di un marinaio da quello di uomo di città. Ora quel segno è colmabile. Il nuovo CD di Hammill e soci ha fatto ciò che il tempo non era mai riuscito a fare. “L’arte non è uno specchio, è un martello” si leggeva su un album degli Henry Cow. "Present" ne è la dimostrazione. Suoni grezzi, chitarre che appaiono tali dopo un approfondito ascolto. Ritmiche stravolte sulle quali solo Hammill può cantare. Guy Evans alla batteria è a volte più Jazz che Prog e l’organaccio di tappeto e distorto, quanto la tecnologia può consentirne la distorsione. Idem per il Sax di Jackson.
Due CD, uno vero, corto? Giusto? Lungo? Esattamente come deve essere? Un secondo CD buttato lì, in sala di incisione. Strappi di Jazz e Prog, più vicino a certe cose di John Surman o Elton Dean, dove il sax è padrone della melodia, della ritmica e, ovviamente, della dissonanza.
I brani completi, del primo cd, sono 6 di circa 6 minuti l’uno, quasi tutti con tempi in sei battute, comunque poliritmici e sincopati come da sempre Evans produce. Se non fosse per le tematiche dei brani potrebbe trattarsi di un pezzo unico. Comunque: “Every Bloody Emperor” a metà strada tra “Still Life” e “Pawn Hearts” Bellissima la linea melodica con persino un accenno di ritornello, da pelle d’oca. Un ascolto attento dei piatti e del rullante ci fanno capire cosa voglia dire essere grandi batteristi. “Boleas Panic”, Nutter Alert” e “Abandon Ship” discorso unico: Prog del più tirato, atmosfere a tratti rarefatte e a tratti esplosive. Il terrore e la disperazione aleggiano tra le tracce. Non ci sono parti dondolanti, non ci sono grigi. Non c’è gioia. “In Babelsberg”, forse poteva durare la metà, direi l’unico brano un po’ forzato nella sua ripetitività. “On the Beach” non fa riferimento alla spiaggia dei sogni. È sicuramente il brano più fresco e al contempo struggente, più vicino a certe cose di Hammill solista, piuttosto che al gruppo quale era negli anni ’70.
Il secondo CD non è discutibile. Non consente commenti. Non consente distinzione dei brani. Poteva essere evitato e, ugualmente, è indispensabile. Lo è perché purtroppo - o per fortuna – non abbiamo modo di sapere cosa farebbe oggi Jimi Hendrix, non sappiamo cosa sfornerebbero i Led Zeppelin o gli Who o i Doors. Però siamo brutalmente fortunati nel sapere che quel che hanno fatto i Van Der Graaf è quello i Fan si aspettavano: quel Progressive che si nasconde. Quei brani che non si faranno mai ascoltare alla moglie o agli amici. Semplicemente quella musica che è funzionale finché la ascoltiamo noi, magari in cuffia, magari in macchina a volume esagerato e che sappiamo che mai fischietteremo o canticchieremo per strada o sotto la doccia. Musica totale insomma.
Vi prego, qualcuno dica ai tre Babacci (Banks, Rutherford, Collins) che i loro amici del Generator hanno fatto ciò che hanno fatto!
Ci vediamo al concerto di Milano.
Cinque stelle, a meno che qualcuno non ne abbia da prestarmene qualcuna in più.

 

Roberto Vanali

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