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VV.AA. Progressive rock covers Musea 2007

Accanto alle produzioni “ordinarie”, ormai da anni la Musea ci ha abituati a compilation di vario genere, messe assieme secondo criteri diversi: tributi, album a tema ma anche raccolte il cui unico scopo può essere quello di fungere da campionario delle band sotto contratto.
Rientra in quest’ultima categoria questo “Progressive rock covers”, una settantina di minuti compilati raccogliendo brani eterogenei già editi (tranne una “bonus track” posta in coda al disco) secondo il filo conduttore della reinterpretazione.
Come succede in questi casi, la qualità non può essere uniforme e dipende molto sia dallo spirito con cui la band si confronta con il brano classico che dalle potenzialità strettamente tecniche.
Distinguiamo allora chi per propria stessa vocazione sceglie brani eminentemente tastieristici, ed è il caso dei Gerard con la “Toccata” di Emerson Lake & Palmer (che a loro volta furono interpreti di una composizione dell’argentino Ginastera…), rielaborata senza stravolgimenti in chiave un po’ più modernista e delle Ars Nova con un medley ben eseguito dall’album “Birds” dei Trace del compianto Rick Van der Linden, che pure non apporta niente di nuovo rispetto all’originale. Questi due brani sono entrambi reperibili nell’album a firma congiunta “Keyboards Triangle”, dedicato per l’appunto ai power-trio del progressive sinfonico.
C’è poi chi tenta di infondere un pizzico di personalità propria, ma purtroppo nel caso degli statunitensi Pangaea la versione vagamente new-prog/AOR di “Time” può solo invogliare a spegnere tutto e piazzare invece il nostro vinile scricchiolante di “Dark Side…” sul piatto, così come la versione di “Darkness” dei Twenty-Four Hours mi convince delle buone qualità esecutive dei quattro ragazzi pugliesi (che la traslano un po’ verso sonorità psichedeliche) e dell’assoluta inadeguatezza di un vocalist - fortunatamente mixato a volume basso - che scegliendo di confrontarsi con Peter Hammill fa la figura di Tafazzi nella sua proverbiale posa autolesionistica.
La scelta più originale (ma ricordo che non si tratta di brani registrati per l‘occasione) è quella dei toscani London Underground, che si confrontano con ottimi risultati con “Travelling Lady” del progetto Manfred Mann Charter Three, un proto-prog energico, trascinante, dominato dall’Hammond sporco e fangoso di G. Gerlini e dai fiati, come si conviene ad un brano del 1969; secondo me il momento migliore dell’album, e non lo dico certo per fare lo snob!
Ottima la cover zeppeliniana (“Immigrant song”) dei Blue Shift, band statunitense dedita a ricalcare i passi degli Starcastle e che quindi ci fornisce un’idea su come avrebbero suonato gli Zep con Jon Anderson al posto di Plant, aggiungendo anche una buona dose di organo ad arricchire il tutto. Un trattamento simile è riservato dai belgi Now al classicone “Kashmir” (14 minuti molto tirati per le lunghe), che viene però alleggerita e forse un po’ banalizzata dai synth digitali e dai cori femminili dal sapore disco.
Non so bene cosa pensare dei Quidam (ancora con la bravissima Emila Derkowska, che non riesco proprio a vedere nelle vesti di Ian Gillan) con la loro versione live di “Child in time”… il brano è lungo ed epico, eppure non credo sia nelle corde della band polacca, a mio parere molto più incline al pastorale che all’hard-rock. Giudizio sospeso.
Applausi incondizionati invece per i francesi Halloween con “House with no Door” dei Van der Graaf e soprattutto all’interpretazione di Geraldine Le Cocq, che non prova ad imitare Hammill ma riesce ad emozionare a suo modo con il suo stile vocale suadente.
Evitano le scelte più ovvie anche gli spagnoli Dificil Equilibrio, con la stravagante “Dynamite” originariamente parte del camembert elettrico dei primi Gong e che ben si addice all’attitudine sperimentale e un po’ pazzoide del trio, in verità affini al mondo di Allen e soci quando a quello di Fripp.
Passa senza lasciare traccia un’onesta “Strange days” (Doors, naturalmente) dei canadesi Visibile Wind, scelta particolare per una band generalmente devota ad un power-prog di scuola Saga.
E’ forse possibile che una compilation dedicata al progressive si concluda senza brani di Yes, Genesis e King Crimson (avrà pensato qualcuno…)? Ecco allora arrivare come bonus una “Exiles” virata in direzione prog-metal da Thierry Crusem e il suo "Autre Système"… promettente l’inizio, sembra che il brano possa reggere in questa veste, ma già dopo la seconda strofa subentra un po’ di irritazione per la scarsa fantasia del batterista e così richiamiamo indietro Bruford a gran voce! Divertente, al limite.
Cosa dire? Le cover secondo me hanno un senso inserite nel contesto di un album dalle sonorità compatibili, ma estrapolate e inanellate l’una all’altra in un dischetto del genere credo lascino un po’ il tempo che trovano. A voi la decisione finale.

 

Mauro Ranchicchio

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