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VECTEUR K La peur du désert Unicorn Digital 2009 CAN

La paura del deserto è la paura che ogni persona prova di fronte al vuoto e forse pensando a questo i Vecteur K hanno deciso di riempire il loro debutto discografico di tanti suoni, tanti particolari e tante parole, proprio alla stessa maniera in cui gli esseri umani sono ansiosi di riempire i propri vuoti esistenziali. Questi temi sono descritti con un linguaggio poetico, attraverso testi ricchi di parole e con uno stile romantico che ci riporta alla migliore tradizione cantautoriale francofona. La musica è in linea generale malinconica ma profondamente romantica ed è dotata della consueta ricchezza negli arrangiamenti dimostrata dai tanti artisti di ispirazione Prog che popolano la fiorente scena del Quebec. La strumentazione impiegata dalla band è comunque quella convenzionale per i gruppi rock, con Marc-André Noël, voce solista e chitarra, Marc-Antoine Sauvé alla chitarra solista, Jean-François Bernard alle tastiere, Benoît Dalpé al basso e Éric Cournoyer alla batteria. Quindi niente archi, né strumenti d’orchestra in questo album che si dimostra ad ogni modo delicato e abbastanza particolareggiato, seppure con venature rock ben pronunciate. Chitarra acustica e piano vengono comunque usati a profusione per ingentilire i suoni, e proprio la chitarra acustica apre “À l'abri des images”, la seconda traccia, che giunge dopo una brevissima intro strumentale, persistendo con riff ed arpeggi per tutta la sua durata ed intrecciandosi a tastiere vintage e suoni elettrici in uno stile sinfonico gentile ma deciso. In tutto l’album sono un po’ carenti i grandi momenti strumentali, con una netta prevalenza delle parti cantate, e bisogna dire che in linea generale questa scelta rischia di creare un po’ di stanchezza e non permette ai pezzi di raggiungere dei picchi emotivi memorabili. Il sound è pulito e moderno, con ampi riferimenti a Porcupine Tree (evidentissimi in tracce come “Mes armes de verre”) ma anche a gruppi come Harmonium (che comunque non vengono mai eguagliati). Qua e là la band si sforza di inserire qualche trovata d’effetto, che può essere una serie di passaggi jazzati, o riff di chitarra ritmati e danzanti, come in “Abscisses”, ma le cose vanno molto meglio, a mio giudizio, quando i toni si fanno più rilassati e sognanti, come nella malinconica “Mieux qu’avant” che si basa su una formula abbastanza semplice che fa leva su una voce calda e ben impostata e su begli intrecci elettroacustici di chitarra. In sostanza, fra alti e bassi, questa prova raggiunge una sufficienza risicata con risultati positivi per quel che riguarda il sound grazioso ed i bei testi che vengono comunque inficiati da una scarsa ispirazione e da un’esecuzione forse poco spigliata. Come punto di partenza potremmo esserci ma in futuro la band dovrà dimostrare di saper crescere dando maggior risalto ai propri punti di forza. Li attendiamo quindi fiduciosi ma per il momento non mi sento di consigliare un acquisto a scatola chiusa neanche ai fanatici della scena musicale progressiva del Quebec.


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Jessica Attene

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