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VIDOCQ Vidocq Andromeda Relix 2012 ITA

“Chi lo sa che faccia ha, chissà chi è, tutti sanno che si chiama… Vidocq?”. No, forse era Lupin. In realtà il famoso anime giapponese di Lupin III, che tanti lettori ormai non più giovanissimi (per usare un eufemismo) conoscono, non c’entra, se non fosse che il brano “Vidocq”, anche titolo del disco e nome della band, assomiglia in maniera fin troppo sospetta alla sigla italiana che ne accompagnava ogni episodio. La fisarmonica, la voce femminile, l’andamento da “chanson” e la storia romantica del testo richiamano fin troppo la nota canzone di Micalizzi e Migliacci, abbastanza per pensare a un omaggio voluto. Se poi consideriamo la storia di Eugène-François Vidocq, realmente esistito e diventato mitico nell’immaginario popolare (soprattutto quello francese), con una vita fatta di avventure, crimini, evasioni e conclusivo passaggio dalla parte dei “buoni”, le similitudini tra i due personaggi sono ancora più evidenti.
Il brano in questione è però solo una particolarità dell’album, il quale denota uno stile complessivo ben diverso. Il genere proposto dai Vidocq è principalmente un hard rock energico ed essenziale, venato ogni tanto di AOR e alternato a fasi più rilassate che dovrebbero giustificare le sfumature progressive rivendicate nel press kit. A mio avviso, però, questi riferimenti sono nel complesso poco evidenti. Anche il brano dal titolo “Il volo del falco”, nel quale sono ospiti alla voce nientemeno che Aldo Tagliapietra e Vittorio De Scalzi, rimanda allo stile bucolico di Angelo Branduardi più che al progressive italiano in senso stretto. Non che questo sia un problema, dato che la canzone è molto gradevole. E gradevole è nel complesso l’intero album, con alcuni distinguo. Certi brani sono ben riusciti e trascinanti (“Cuore nero”, “Polvere da sparo”), grazie ai riff macinati da una chitarra elettrica dal suono grosso e melodico e ad una struttura che facilita la memorizzazione di strofe e ritornelli. Buoni anche i pezzi più rilassati (“Volo” e “Welcome”), con gli arpeggi della chitarra carichi di un effetto chorus dal sapore retrò e assoli che indugiano in linee scontate ma cariche di melodia. Qualche calo di tono è presente in “Fra Diavolo”, la cui semplicità portata all’eccesso suppongo trovi una piena giustificazione nelle esibizioni dal vivo davanti ad un pubblico desideroso solo di muoversi al ritmo della musica. Il pezzo più progressivo dell’album è probabilmente “Genesi”, alle cui parti in pieno stile Vidocq si alternano sfuriate hard-prog che sembrano tirate fuori da qualche vinile italiano degli anni ‘70. Prima della chiusura citata all’inizio della recensione, c’è il tempo per il roccioso hard rock (ai confini con un metal di stampo decisamente “ottantiano”) di “Contro il tempo”, probabilmente il pezzo più duro del disco. Non è ancora finita, in realtà: due bonus track completano l’album in maniera pregevole, anche se non si integrano con il sound del gruppo, essendo le cover di “750.000 anni fa… l’amore” del Banco e di “No time no space” di Franco Battiato, affidate solo alla voce di Enrico Rigolli e ad un arrangiamento di chitarra classica, con un risultato finale molto riuscito.
Il disco è nel complesso discreto, e tradisce la passione dei componenti della band verso uno stile assolutamente fuori moda ma sempre piacevole. L’età dei musicisti, d’altronde, non mente. Il cantante Enrico Rigolli ha militato tra gli anni ’80 e ’90 nei Purple Angels, e sono presenti come ospiti in alcuni brani i componenti degli Elektradrive, storica e grandissima band italiana dedita ad un hard rock/AOR melodico assimilabile a tratti a quello dei Vidocq. Altri riferimenti si possono inoltre cogliere nei Vanadium o nella Strana Officina, per togliere ogni dubbio su quale sia la musica che piace alla band. Interessanti, anche se spesso ingenui, i testi, con alcune canzoni che mantengono un tema di fondo “piratesco”, mentre la voce di Rigolli, personale e caratteristica, ogni tanto sembra stanca e priva di mordente.
“Vidocq” è senz’altro un album piacevole, soprattutto per i nostalgici di un certo tipo di rock italiano che, nonostante la qualità, non ha mai avuto il riscontro che meritava. Ma questo si può dire anche di tante band dedite al rock progressivo, quindi un ascolto è interessante in ogni caso. Non è detto, infatti, che il disco non possa piacere anche alle nuove generazioni.


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Nicola Sulas

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