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WILLIAM GRAY Silentio autoprod. 2012 ARG

Gli argentini William Gray si possono considerare qualcosa di più di una rock band: meglio considerarli un progetto che vede impegnati vari artisti (designer, illustratori, registi, musicisti) e di cui “Silentio” rappresenta la doverosa colonna sonora. Ai sette membri della band si aggiungono poi uno stuolo di ospiti che arricchiscono e rendono più preziosa con i loro strumenti (violoncello, flauto, mandolino, bandoneon…) questa rock-opera, la seconda, dopo “Living fossils” del 2006. Dimenticavamo. Tra gli ospiti anche l’Alan Haksten Grupp, un ottetto di tango.
“Silentio” è un’opera ambiziosa e dal “plot”particolare. La storia di Tomàs, un timido ragazzo della Baires degli anni ’40, che acquisisce una strana capacità, quella di sentire le “voci” degli oggetti antichi (un orologio a pendolo, una macchina da scrivere…) che gli raccontano delle storie. Tutti pensano che Tomàs sia impazzito, lo curano e le voci spariscono. Ma sarà vero?
Malgrado la musicalità della lingua madre, lo spagnolo, i William Gray preferiscono il respiro internazionale che la lingua inglese sa offrire e tutto sommato la scelta risulta vincente. La vicenda si dipana in 12 tracce ed un breve preludio. Le sonorità sono moderne, spesso frizzanti, ma con quel quid aggiuntivo rappresentato dagli archi, dagli strumenti etnici, dalla musica tradizionale che conferiscono al lavoro un fascino senza tempo ed ad alto tasso emozionale. Che poi le composizioni abbraccino quasi tutto il meglio della musica, dal prog, al rock, all’heavy, dal folk al tango e ancora la musica da camera, è quella raffinatezza che impreziosisce ancor di più il lavoro della band argentina.
Dinnanzi a queste doverose premesse, non stupiscono i “riffoni” che ci colpiscono come un pugno in “Crisis” (qui l’accostamento con Ayreon sorge spontaneo) e, per contro, neanche la suadente ballad “The gift”, con tanto di violoncello conclusivo. Alle dissonanze crimsoniane che imperversano nel finale della lunga “Medicine” fa da contraltare il tango-rock de “La burla”. Le atmosfere suadenti di “Precious” terminano con un bel “solo” di synth (molto new-prog) a dimostrazione di una band eclettica e ricettiva a varie contaminazioni. Non sorprende il ritorno a sonorità piuttosto sostenute per “Type machine” e lo Hammond purpleiano che ne consegue in “Auditorium” (con l’aggiunta di un coro alla Bohemian Rapsody). Gli Who si affacciano, non a caso, in “Dumb”, ma a sparigliare ancora una volta il tutto ecco ora il sitar a fungere da cappello conclusivo. “The search”, che chiude l’album dopo una prima metà fragorosa, scivola via con delicate note di pianoforte, degli archi e della fisarmonica, a ricordarci da dove provengono i William Gray.
Un’ora ed oltre di ottimo prog sinfonico e l’invito (e questo vale anche per noi) ad accaparrarsi anche il precedente album del gruppo, “Living fossils” del 2006. Nell’attesa ci risentiamo “Silentio”.


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Valentino Butti

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WILLIAM GRAY Living fossils 2006 

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